Eva Kaili, l’accusa dell’avvocato: «I magistrati belgi le hanno suggerito di dichiararsi colpevole per essere scarcerata»
I magistrati belgi che indagano sullo scandalo Qatargate avrebbero fatto pressioni indebite su Eva Kaili, l’ex vicepresidente del Parlamento europeo in carcere dallo scorso 9 dicembre con l’accusa di corruzione, proponendole di confessare la sua colpevolezza, con la promessa di essere in cambio scarcerata e poter così riabbracciare la figlioletta di 23 mesi. È la nuova accusa lanciata dall’avvocato della politica greca, Michalis Dimitrakopoulos, che nei giorni scorsi aveva già affondato il colpo contro i metodi della giustizia belga, accusata di aver posto la sua assistita in carcere a una condizione di «tortura». Il suo nuovo attacco è riportato stamattina dal Corriere della Sera. «Dal primo momento hanno proposto a Eva Kaili di dichiararsi colpevole per essere scarcerata e poter così finalmente riabbracciare sua figlia», dice Dimitrakopoulos, precisando però che la sua assistita, che si professa dal primo giorno innocente, ha sempre rifiutato la presunta avance giudiziaria. «Nonostante il fatto che stare lontana dalla sua bambina sia la più grande tortura psicologica, lei non ha accettato di confessare qualcosa che non ha fatto». La ragione è presto spiegata, aggiunge ancora l’avvocato greco, ed ha a che fare proprio con l’educazione della piccola avuta dall’ex compagno italiano (anch’egli in carcere) Francesco Giorgi: Kaili «non vuole che sua figlia erediti lo stigma di una madre che è stata una donna politica corrotta, perché non è vero». «Con questi pensieri nella mente – riferisce ancora al Corriere Dimitrakopoulos – ha dato battaglia in Camera di consiglio pronunciando con dignità parole chiare e fornendo argomenti concreti per essere rimessa in libertà: senza tentare di commuovere nessuno, ma solo per convincere della sua innocenza».
Professione d’innocenza
Nei due lunghi interrogatori avuti prima con la polizia giudiziaria belga, poi con il giudice che coordina le indagini, Michel Claise, Kaili ha sempre ribadito la sua innocenza, sostenendo di non aver mai favorito Qatar o Marocco nelle sua attività di deputata europea e vicepresidente del Parlamento, ma di essersi semplicemente allineata alle posizioni del suo gruppo politico. Nessun’ammissione di colpevolezza neppure riguardo alle valigie piene di denaro trovate nella casa che condivideva con Giorgi: di quei 750mila euro in contanti trovati dagli inquirenti, è la tesi della difesa, Kaili non avrebbe saputo nulla sino a poche ore prima dell’arresto, quando – una volta scopertili – chiese al padre di venire a prenderli e portarli con un trolley al proprietario, più o meno legittimo: l’ex eurodeputato Antonio Panzeri. Gli inquirenti belgi credono invece che la donna fosse parte degli ingranaggi del sistema corruttivo di cui era – per sua stessa ammissione – al vertice Panzeri, insieme a Francesco Giorgi. Per questo, pochi giorni fa, hanno nuovamente deciso di prolungare la custodia cautelare in carcere della donna, per almeno un altro mese.
L’accusa di torture e il ricorso alla Corte Suprema
Il ritratto che Dimitrakopoulos tratteggia della sua assistita, 44 anni, un passato da giornalista tv in Grecia, è quello di una donna profondamente segnata dal mese e mezzo trascorso ormai dietro le sbarre della prigione di Haren. «Tremava mentre riferiva al giudice, che era una dona, le torture che ha subito, non in carcere, ma nella cella della polizia. Ciò che ha vissuto – affonda il colpo l’avvocato – ricorda il film Fuga di mezzanotte, ma sfortunatamente questo sta accadendo nel centro dell’Europa». L’atto d’accusa contro i presunti metodi vessatori della giustizia belga termina con l’annuncio della prossima mossa legale del team di difesa di Eva Kaili: «La prossima settimana faremo ricorso alla Corte suprema – annuncia Dimitrakopoulos – Quando qualcuno viene arrestato è immediatamente protetto dalla legge. Mi chiedo se sia stato così anche a Bruxelles».
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