Neonato soffocato a Roma, la difesa dell’ospedale: «Seguiamo tutti i protocolli, l’utenza è soddisfatta». Proseguono le indagini della Procura
«La direzione sanitaria respinge in maniera categorica che le madri non siano seguite adeguatamente». È questa la posizione ufficiale dell’ospedale “Sandro Pertini” di Roma, dove il 7 gennaio scorso – nel reparto di ginecologia – un neonato di tre giorni è morto soffocato tra le braccia della mamma, addormentatasi dopo aver allattato. La direzione della struttura sanitaria, in una nota diffusa nel pomeriggio di lunedì 23 gennaio, come riporta Roma Today, ha infatti ribadito come alle pazienti venga «assicurata un’adeguata presa in carico e il rispetto dei requisiti organizzativi previsti dalla normativa vigente, che determina peraltro – si legge nella nota diffusa dall’ospedale – un alto livello di soddisfazione da parte dell’utenza così come testimoniato dall’incremento dei volumi di attività». Nel caso specifico, ribadisce l’azienda, «come da prassi, ha attivato immediatamente un audit clinico per verificare la correttezza e l’aderenza alle best practice e l’appropriatezza delle procedure, ed ha consegnato alla magistratura tutta la documentazione in possesso al fine di consentire uno svolgimento delle indagini che conduca, il più rapidamente possibile, a ricostruire la dinamica degli avvenimenti e ad accertare eventuali responsabilità». Nel frattempo, è risultato negativo l’esame tossicologico effettuato sulla mamma del neonato: secondo una nota della Asl, la donna non aveva assunto né farmaci né droghe. La procura di Roma ha aperto un’indagine per omicidio colposo, disponendo il sequestro delle cartelle cliniche e l’autopsia per il piccolo, i cui esiti definitivi potrebbero arrivare non prima di 60 giorni.
La pratica del rooming-in: «Tutte le mamme vengono informate dei rischi»
Dalle prime indagini è emerso che la donna aveva dato il consenso al rooming-in, ovvero un protocollo con il quale la madre si impegna a tenere il bimbo con lei nella stessa stanza e ad allattarlo da seduta. «Tale pratica – spiega la Direzione strategica della Asl Roma 2 – è ormai consolidata nel contesto nazionale e internazionale per sostenere il contatto tra neonato e mamma, sin dalle prime ore dopo la nascita. Infatti l’Oms e l’Unicef promuovono questo modello organizzativo, che permette al piccolo e alla neomamma di condividere la stanza 24 ore su 24. Per questo motivo il rooming-in viene attuato anche nell’ospedale Pertini, dove tutte le puerpere vengono informate dei rischi connessi alla gestione del bambino, venendo peraltro edotte, anche con la sottoscrizione di un modulo, sulle azioni da effettuare per evitare il verificarsi di eventi avversi». Una pratica, questa, che richiede comunque una continua assistenza e supervisione da parte del personale sanitario: ed è proprio su questo che si concentrano le accuse del marito della donna nei confronti della struttura ospedaliera. «Abbiamo letto sul web i commenti di tante donne che hanno lamentato di essere state lasciate sole dopo aver partorito al Pertini. Tutte stremate dal parto. E tutte impossibilitate a prendersi cura come si dovrebbe di un neonato», ha detto l’uomo in un’intervista al Messaggero. «Molte donne – continua – sono lasciate sole nei reparti. Anche a causa delle restrizioni anti-Covid. Che impediscono ai familiari di aiutare le neo-mamme. I protocolli andrebbero rivisti. Se non è capitato ad altri è solo perché sono stati fortunati». A livello medico il protocollo prevede intanto che ci sia un accompagnatore: come ha spiegato anche il direttore dell’area ostetrica del “Policlinico Gemelli” di Roma Antonio Lanzone, proprio per ovviare a questa necessità, «spesso nei reparti vengono realizzate camere singole che permettono anche all’accompagnatore di dormire con la gestante».
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