Neonato soffocato a Roma, negativo l’esame tossicologico sulla mamma. L’indagine sul protocollo rooming-in
È risultato negativo l’esame tossicologico sulla mamma del neonato di tre anni morto lo scorso 7 gennaio all’ospedale Pertini di Roma dopo che la mamma lo aveva allattato. Secondo una nota della Asl, la donna non aveva assunto né farmaci né droghe. La procura di Roma ha aperto un’indagine per omicidio colposo, disponendo il sequestro delle cartelle cliniche e l’autopsia per il piccolo, i cui esiti definitivi potrebbero arrivare non prima di 60 giorni. Erano emersi dubbi su come la donna si fosse addormentata con il piccolo nel letto, con alcuni testimoni che avrebbero parlato di un assopimento innaturale. La procura aveva quindi deciso di sottoporre la donna agli esami tossicologici, così da escludere eventuali farmaci somministrati e non tracciati nel suo fascicolo.
L’indagine dovrà verificare che nel reparto di ostetricia e ginecologia siano stati fatti rispettare i protocolli previsti in casi come questi, quando il bambino viene lasciato alla mamma dopo la donna aveva sottoscritto il «rooming-in». L’obiettivo primario degli inquirenti è quello di capire anche il perché il bambino sia rimasto nel letto della neomamma senza che nessuno se ne accorgesse. Una domande lecita soprattutto se si prende in considerazione il regolamento interno a ogni reparto di ginecologia: ogni tre ore, come da prassi, è prevista un’assistenza alle degenti sia di giorno che di notte. Con la presenza di due infermiere per il nido e di altre due per le neo-mamme.
Il protocollo rooming-in
Dalle prime indagini è emerso che la donna aveva dato il consenso al rooming-in: un protocollo con il quale la madre si impegna a tenere il bimbo con lei nella stessa stanza e ad allattarlo da seduta. «Non c’erano segnali di anomalie di alcun genere altrimenti sarebbe stato necessario il nido», spiega una fonte interna all’ospedale. La procedura del rooming-in non risulta obbligatoria per nessuna mamma ma se richiesta prevede precise condizioni di sicurezza da garantire. A livello medico il protocollo prevede intanto che ci sia un accompagnatore. Come ha spiegato anche il direttore dell’area ostetrica del “Policlinico Gemelli” di Roma Antonio Lanzone, proprio per ovviare a questa necessità, spesso nei reparti vengono realizzate camere singole che permettono anche all’accompagnatore di dormire con la gestante». In questo modo la procedura può essere attuata tutta la notte, oppure soltanto di giorno. Ma l’altro punto fondamentale è garantire una sicurezza quando l’accompagnatore non può esserci: «Se la donna rimane da sola il neonato deve essere portato al nido». Fino poi a un’altra delle regole base dei protocolli internazionali sulla sicurezza del neonato: dopo l’allattamento il bimbo deve essere depositato in culla. Alla luce delle norme descritte qualcosa del protocollo standard, la notte del 7 gennaio al “Pertini”, non deve essere stato rispettato. Gli investigatori dovranno quindi portare alla luce innanzitutto l’entità degli interventi del personale sanitario e stabilire quanto tempo sia passato dall’ultimo controllo effettuato nella stanza della mamma. «Quando si è svegliata si è resa contro della tragedia», ha raccontato un testimone poche ore fa parlando della neo mamma. «Ha capito che era accaduta una disgrazia, era disperata. I medici hanno cercato di darle conforto e le hanno anche offerto un supporto psichiatrico. L’avrebbero trasferita in un altro reparto, ma lei non ha voluto. La mattina dopo ha lasciato l’ospedale per andare a casa dalla mamma. Il loro dolore era intenso, ma composto».
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