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Usa, il governo fa causa a Google per monopolio nella pubblicità: così Alphabet rischia di dover cedere quote

24 Gennaio 2023 - 19:55 Redazione
Google energia nucleare intelligenza artificiale
Google energia nucleare intelligenza artificiale
Si tratterebbe della seconda causa legata all'antitrust nei confronti dell'azienda tech: era finita nel mirino delle autorità Usa nel 2020 per il suo monopolio nella ricerca

Nuovo scontro tra il Dipartimento di giustizia statunitense e Google. L’autorità americana e otto stati federati (California, Colorado, Connecticut, New Jersey, New York, Rhode Island, Tennessee e Virginia) hanno intentato una causa contro l’azienda informatica statunitense per la posizione dominante nella pubblicità online. A riportarlo è il Washington Post che sottolinea come la società di Mountain View sia accusata dal dicastero del governo federale statunitense di monopolio illegale sul mercato. Nella denuncia presentata oggi, 24 gennaio, – una copia della quale è stata visionata dalla Cnn – il Dipartimento di Giustizia ha affermato che Google ha utilizzato mezzi anticoncorrenziali e illegali per eliminare o ridurre fortemente qualsiasi minaccia al suo dominio sulle tecnologie pubblicitarie digital». Il contenzioso punta a fare luce sulla gestione della pubblicità di Google che ricava dalle inserzioni – secondo Bloomberg – l’80 per cento del suo fatturato. La «soluzione» ipotizzata sarebbe quella di cedere parti della sua attività, facendo una sorta di «spezzatino» con la separazione dei suoi vari business. Si tratterebbe della seconda causa legata all’Antitrust nei confronti dell’azienda tech del Ceo Sundar Pichai. Google è finita nel mirino delle autorità americane sotto l’amministrazione Trump: il dipartimento di Giustizia aveva denunciato la società nel 2020 per il suo monopolio nella ricerca. Tale causa – spiega il Wp – dovrebbe essere processata entro la fine dell’anno. Con l’azione antitrust dell’autorità americana, il titolo di Mountain View ha subito perso l’1,5%. Google intanto respinge le accuse, basate su una argomentazione «sbagliata» che potrebbe rallentare «l’innovazione, aumentare le commissioni sulla pubblicità e rendere più difficile per migliaia di piccole imprese crescere».

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