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Juha, a 60 anni pendolare dalla Finlandia per seguire la sua squadra del cuore: «La Roma è la mia fede» – L’intervista

A Open il tifoso racconta l'amore che lo lega al team giallorosso: galeotta fu la partita del '97 che vide brillare Totti

Juha Ahtinen ha 60 anni, vive nel piccolo comune finlandese di Tuusula, e lavora in qualità di responsabile delle vendite per un’azienda del settore dell’abbigliamento sportivo. A prima vista, la sua vita potrebbe considerarsi ordinaria. Se non fosse che nel cuore custodisce una passione sportiva sconfinata: la Roma. Un «unico grande amore» che lo porta a fare il pendolare tra la Finlandia e l’Italia, con una media di 40 viaggi all’anno. «Per me l’importante è essere presente, per sostenere e tifare la mia squadra», racconta a Open. In italiano: lingua che ha imparato da autodidatta, grazie alle numerose trasferte e ai cori dello stadio. «Sono abbonato in Tribuna Tevere – spiega ancora -. Quest’anno farò il mio record personale di partite viste dal vivo. Sono già a trenta, e ho prenotato tanti voli per questa primavera. Questa stagione penso di poter raggiungere la quota 50 partite».

«Non mi fermo mai»

Juha, infatti, non si limita ai match di Serie A o della Uefa: si imbarca anche per seguire gli allenamenti, le amichevoli, le femminili. Quando raggiunge Roma si ferma presso il suo B&B di fiducia, a piazza di Spagna. Ma segue la sua squadra anche al di fuori della Capitale: durante la sosta dei Mondiali, per esempio, ha raggiunto il Giappone per vedere le amichevoli giocate a Nagoya e a Tokyo. La sua agenda risulta così fitta di appuntamenti: «Domani sera prendo un volo da Helsinki a Venezia, e da lì prendo un treno diretto a Napoli per vedere la partita che si gioca domenica. Rincaso lunedì sera, ma mercoledì sono di nuovo a Roma per vedere la partita di Serie A contro la squadra del Cremonese. Rimango in città fino a sabato, fino alla partita contro l’Empoli. Poi si torna a casa. Almeno fino alla settimana prossima, quando mi rimetto in viaggio per seguire la partita contro il Lecce. Durante le prossime 8 settimane, ho in programma 8 viaggi per vedere 11 partite».

Le sciarpe nell’ufficio di Juha, dai club romanisti del mondo

Un frenesia che porta alla mente due spontanei interrogativi: dove si trovano tempo e soldi per sostenerla? Ma Juha ha una spiegazione: innanzitutto, precisa, «essendo manager e direttore, posso lavorare da remoto: questo è un grande vantaggio». Ma allo smart working si affiancano anche i sacrifici: «Lavoro sempre quando gli altri vanno in ferie in estate, per tenermi i giorni liberi da impiegare. Uso tutti i miei giorni di ferie, e tutti i miei risparmi, per seguire la Roma». Rispetto ai costi, rifiuta di scendere nel dettaglio: «Tante tante persone mi chiedono come sia possibile che posso permettermi tutti questi viaggi, com’è possibile che sia sempre all’Olimpico, alle trasferte… prima di tutto io sono divorziato, i miei figli sono già adulti e non ho più responsabilità familiari. E poi, la passione non ha prezzo. Ormai, sarebbe impossibile immaginare la mia vita senza tutto questo».

Un colpo di fulmine

L’amore per la Roma, per Juha, è nato come in seguito a un colpo di fulmine. Ma l’incontro fatale è stato preceduto da alcuni segni del destino: «Sono sempre stato un tifoso del calcio italiano, giocavo quando ero piccolo, guardavo sempre i mondiali in televisione con gli amici e mio papà. Il 1974 era l’anno dei Mondiali in Germania Ovest, ma la Finlandia non giocava. Così abbiamo scelto di tifare per l’Italia». Poi, nel 1983, un interrail lo portò a Roma: «Quando siamo arrivati a Termini ho avuto una strana esperienza di flashback. Sentivo di essere già stato in quel posto, sentivo di essere tornato a casa. Io dico sempre che nella mia vita precedente sono stato romano e romanista».

Lo stravolgimento definitivo della sua vita arriva però qualche anno più tardi, verso la metà degli anni Novanta: «Seguivo la carriera di Jari Litmanen, il più grande giocatore finlandese di tutti i tempi. All’epoca le squadre se lo contendevano, compresa la Roma. Nel febbraio del 1997 raggiunsi allo Stadio Olimpico per vedere l’Ajax nel triangolare con Roma e Borussia Moenchengladbach, ma in quell’occasione finii per innamorarmi della Roma. Totti fu il protagonista assoluto della partita: si può dire che è merito suo se ho iniziato a tifare per i giallorossi».

Totti: giocatore eterno della città eterna

Il Capitano, per Juha, non è infatti un semplice calciatore. «Giocava come un artista: tecnicamente perfetto, molto intelligente, difficilmente ci sarà qualcuno di così grande», sospira. «Un fuoriclasse, giocatore eterno della città eterna». Che lui ha avuto la fortuna di incontrare in più di un’occasione: «Una volta a Trigoria, e un’altra a Torino, dove pernottavo nello stesso hotel della squadra. Quando ci siamo incontrati gli ho raccontato la mia storia e gli ho regalato la sciarpa nel nostro club, Roma Club Finlandia – Lupi dell’Artico», racconta, menzionando il gruppo di tifosi finlandesi (un centinaio) che seguono dal suo Paese d’origine le avventure della squadra capitolina.

«Lui mi ha ringraziato – prosegue – e ha firmato due magliette, che adesso tengo a casa, nel mio armadio». In buona compagnia: «Sono riuscito a incontrare tutti i capitani: De Rossi, Florenzi, Pellegrini… ho tutte le magliette autografate. Appena avrò tempo le incornicerò». Anche se Totti occuperà sempre un posto speciale nel suo cuore: Juha era presente allo stadio quando giocò la sua ultima partita, nel 2017. «Abbiamo pianto tutti. È stato un giorno emozionante, indimenticabile». Se c’è qualcuno all’altezza di raccogliere il suo testimone nel panorama calcistico attuale? «Penso che Dybala potrebbe essere il suo erede: tecnicamente è perfetto, un campione. Quando è arrivato alla Roma ho stappato una bottiglia di champagne».

Un atto di fede

A questo punto, non rimane che evasa una domanda: perché la Roma? «Tante volte mi hanno chiesto perché non avessi scelto una squadra più forte, come, per esempio, il Real Madrid, che avrebbe magari potuto darmi più soddisfazioni. Ma – puntualizza Juha – la Roma non si tifa per i trofei: si tifa per la maglia, per la storia, i colori, l’amore». Chi sceglie di abbracciare questa «fede», come la definisce lui, è un vero «sognatore»: «Ogni partita che perdiamo speriamo che sia l’ultima. Non molliamo mai, crediamo che ogni nuova occasione sia quella buona. Lo dimostra anche Totti, che non se n’è mai voluto andare da Roma e dalla sua squadra. Non contano solo i soldi». E ancora: «Io sono un padre di due figli, che hanno 27 e 25 anni. Quando erano piccoli, adolescenti, non sempre si comportavano bene: commettevano errori, ma l’amore rimaneva sempre, incondizionato. Questo è il mio rapporto con la mia Roma: quando vinceremo sarò felice. Se perdiamo sono deluso i primi momenti, ma l’amore rimane».

Influisce di certo anche il clima che si respira negli ambienti della tifoseria: «Io vivo la Roma come una grande famiglia: tutti i romanisti del mondo sono i miei fratelli e le mie sorelle. Ho incontrato altre persone dall’estero, che magari viaggiavano meno di me, ma ci sono tifosi che vivono fuori e vengono all’Olimpico: tanti americani, alcuni inglesi, tedeschi».

Per lui, invece, questa relazione potrebbe presto non essere più a distanza: «Ho deciso che quando potrò andare in pensione, tra un paio d’anni, mi trasferirò a Roma». Per il momento, continua a viaggiare ogni volta che è possibile. E in caso contrario, a seguire le avventure della sua squadra in televisione: «Ho un amico a Helsinki di origini napoletane, che tifa Napoli: se le due squadre giocano, vado da lui per vederle. Ma in quel caso non indossiamo i vestiti dei tifosi: per entrambi, sarebbe l’ultima partita».

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