Caso Pertini, le società scientifiche: «Sì al rooming-in, ma mamme e neonati non dovrebbero dormire insieme». Schillaci: «Chiesto relazione dettagliata»
A cinque giorni dalla diffusione della notizia della tragica morte per soffocamento di un neonato di tre giorni all’ospedale “Pertini” di Roma, interviene sul caso il ministro della Salute Orazio Schillaci. Nell’esprimere «tutta la sua vicinanza alla mamma in un momento tanto difficile e doloroso», Schillaci ha annunciato l’intenzione di mettere in atto «tutte le misure necessarie a garantire piena sicurezza delle partorienti e dei bambini». Nella nota ufficiale il ministro ha anche fatto riferimento alle condizioni di lavoro di tutti gli operatori sanitari, tornate al centro del dibattito. «L’impegno è anche quello di promuovere ogni intervento utile ad assicurare adeguate condizioni di lavoro alle ostetriche e al personale sanitario addetto ai reparti di ostetricia e ginecologia». Parole che arrivano dopo giorni di polemiche e accuse per la carenza di personale nell’ospedale romano, denunciata dai diversi sindacati, e la presunta mancanza di ascolto delle richieste d’aiuto arrivate dalla madre del piccolo nei giorni precedenti al terribile avvenimento. Schillaci ha fatto sapere di «seguire con attenzione la vicenda» e di aver chiesto «immediatamente una relazione dettagliata alla Regione Lazio per chiarire la dinamica e verificare il rispetto dei protocolli e delle procedure previste». Poi la conclusione: «Quanto accaduto all’ospedale Pertini ha fatto emergere problematiche che hanno riguardato, e possono riguardare, molte altre donne. Il ministro intende affrontarle mettendo in atto tutte le misure necessarie».
La nota delle società scientifiche: «Co-sleeping non raccomandato»
A intervenire sul caso e sulle dinamiche sottostanti sono state oggi 26 gennaio le società italiane di Neonatologia, Pediatria e Ginecologia e Ostetricia, che hanno diffuso una nota congiunta insieme anche all’Associazione Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani. La nota ribadisce innanzitutto la validità del rooming-in – ossia quella pratica che prevede la presenza nella stessa stanza di mamma e neonato al fine di non separarli nei primi importanti giorni post parto. «La gestione separata di madre e neonato, prevalente in epoche passate, ostacola l’avvio della relazione genitore-famiglia-neonato, ed è contraria alla fisiologia, all’allattamento, e non garantisce da eventi neonatali imprevisti e tragici», spiega la nota, ribadendo dunque la validità scientifica del rooming-in. «La condivisione del letto fra una madre vigile e un neonato sano, messo in una posizione di sicurezza, è un fatto naturale, pratico, indiscutibile», ribadiscono le società scientifiche. Differente il discorso per un’altra pratica di cui si è molto parlato negli ultimi giorni, ma da non confondere con il rooming-in: «Le società scientifiche attualmente raccomandano di evitare la condizione del co-sleeping, giudicata non sicura, suggerendo di riporre il bambino a fine poppata nella propria culla, in particolare quando non siano presenti altri caregiver (familiari o altri operatori sanitari)». Una prudenza, spiegano le associazioni, che va ben oltre la permanenza del bambino e della madre in ospedale e che viene raccomandata in tutti i primi 6 mesi di vita del piccolo. Anche se non raccomandata, la pratica di dormire nello stesso letto viene comunque riconosciuta dalle stesse società scientifiche come spesso «inevitabile» e «spontanea». Per questo l’invito è a non «drammatizzare la condizione» ma di garantire «una maggiore informazione delle famiglie» sulla sicurezza del bambino durante il sonno.
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