Saman Abbas, la versione dello zio: «Era già morta, le ho baciato la fronte: uccisa per difendere la nostra cultura»
«Sono disponibile a raggiungere il casolare e indicare esattamente il posto dove è stata seppellita, voglio che il corpo di Saman venga ritrovato per darle un luogo dove io un giorno possa andare a pregare perché io le volevo bene». Queste le dichiarazioni, riportate da Repubblica, dello zio di Saman Abbas, la 18enne pachistana scomparsa ad aprile del 2021 il cui corpo è stato ritrovato a Novellara lo scorso 18 novembre 2022. Danish Hasnain continua a professarsi innocente, e davanti agli ufficiali della Polizia penitenziaria di Reggio Emilia offre la sua versione dei fatti.
La versione di Danish
Ribadisce la sua totale estraneità al delitto, e sostiene di aver raggiunto il luogo della sepoltura solo in un secondo momento, assieme ai cugini della vittima. Entrambi, secondo quanto da lui dichiarato, avevano dato la colpa alla madre di Saman, l’unica ancora latitante. La sera dell’omicidio, spiega, «Shabbar Abbas (il padre di Saman, ndr.) dopo tanto tempo che non ci parlavamo, verso le 22.30/ 23 circa, mi ha chiamato al telefono. Non ho risposto subito perché pensavo che fosse ubriaco e volesse litigare con me… dopo tante telefonate a cui non ho risposto ho spento il mio cellulare e mi sono messo a dormire». E proprio mentre stava riposando, aggiunge, sarebbero arrivati nella sua camera da letto i parenti della moglie di Shabbar, e precisamente «Nomanulaq Nomanulaq e Jaz Ikram. Mi hanno svegliato non so a che ora per dirmi che saremmo dovuti andare a casa di Shabbar perché era successo qualche casino… qualcuno morto, senza dire chi». A quel punto racconta di aver visto il cadavere di Saman, vicino alle serre. E di aver preso il corpo senza vita e baciato la sua fronte. «Volevo recarmi a casa di Shabbar col corpo in braccio, ma Nomanulaq e Jaz mi hanno fermato perché c’erano le telecamere e dicevano che Saman era stata ammazzata dalla moglie di Shabbar… in realtà non era vero, era un modo per difendere la nostra cultura», aggiunge.
L’ipotesi dello «scaricabarile»
Ha addirittura raccontato di non essere stato in grado di scavare la buca per la sepoltura a causa del troppo dolore: «Piangevo, mi sono allontanato perché non riuscivo a guardare. (…) Non potrò più tornare in Pakistan perché gli uomini di Shabbar mi farebbero ammazzare, come lui ha fatto con sua figlia». Ma questa versione non sembra convincere gli inquirenti. Viene infatti ipotizzato una sorta di «scaricabarile» all’interno del gruppo familiare, per cui i protagonisti del delitto di Saman cercherebbero di addossare agli altri le proprie responsabilità. L’avvocato Riziero Angeletti, che si è costituito parte civile nel processo che inizierà il prossimo 10 febbraio per conto dell’Ucoii (Unione della comunità islamiche in Italia) mette in luce le «troppe contradizioni» rispetto a quanto emerso dalle indagini: «Ci sono i messaggi di Danish alla moglie nelle quali, rispetto all’occultamento del cadavere, afferma che è stato fatto “un buon lavoro” e c’è la moglie che gli raccomanda di “cancellare la chat” e di dire che “la ragazza è scappata”. Inoltre ci sono delle discrepanze negli orari». Il padre di Saman, nel frattempo, è ancora detenuto in Pakistan, dove le autorità non hanno deciso sulla richiesta di estradizione fatta dalla magistratura italiana. Lo zio della ragazza, detenuto a Reggio Emilia, rischia l’ergastolo.
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