«Subito una legge sul diritto all’oblio oncologico». Cosa è e come funziona la proposta degli specialisti del cancro
«Nella Giornata mondiale contro il cancro l’abbraccio va a chi sta lottando per vincere un’importante battaglia della vita». Così la premier Giorgia Meloni inizia il proprio tweet un cui ringrazia «chi è sempre al fianco di chi soffre e a chi ogni giorno si dedica allo studio e alla ricerca di terapie all’avanguardia». A seguire, la presidente del Consiglio ricorda che «con l’approvazione del Piano Oncologico Nazionale in Conferenza Stato-Regioni [lo scorso 27 gennaio, ndr] e della mozione bipartisan su prevenzione e cura del cancro alla Camera» il nostro Paese sta facendo «passi concreti per poter arrivare a diagnosi sempre più precoci e tempestive». Tante sono le azioni previste nel documento, integrazione dei servizi, diagnosi più precoci, miglioramenti delle cure e un’assistenza – anche psicologica – più capillare in tutte le regioni. Soprattutto, però, nel piano si legge di percorsi riabilitativi mirati non solo al recupero fisico, ma anche al reinserimento nei luoghi di lavoro e nella società di chi dal cancro è guarito.
Perché serve una legge sull’oblio oncologico
I guariti, in Italia, superano i 3,5 milioni. Molto è stato fatto o è in cantiere, ma secondo le associazioni specializzate manca ancora un passo fondamentale: il diritto all’oblio oncologico. Per questo, nella Giornata mondiale contro il cancro, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) torna a chiedere una legge sul tema. Perché, spiegano gli oncologi oggi riuniti al convegno Quando il cancro diventa una malattia cronica, «servono maggiori garanzie legali per difendere i diritti fondamentali ed evitare discriminazioni». Ma cos’è, e come funzionerebbe una legge sull’oblio oncologico?
Cos’è l’oblio oncologico
Un paziente su quattro riesce a superare il tumore. Ed è anche a loro che si rivolge il Piano Oncologico Nazionale. Tuttavia, secondo gli oncologi non basta: è necessario che in determinati ambiti i guariti di cancro non siano obbligati a divulgare la loro storia clinica. Si tratta di un problema che incide sulla possibilità di queste persone di usufruire di determinati servizi, come ad esempio mutui e polizze assicurative, ma anche la pratiche per l’adozione, anche quando hanno terminato le cure da anni. Al momento, in tutte queste situazioni è richiesta la comunicazione della storia clinica, che in moltissimi casi determina un respingimento degli ex malati a causa del loro pregresso. Una forma di discriminazione, denuncia l’Aiom che riceve numerose segnalazioni di questo tipo, che deve essere superata. I pazienti che sono clinicamente guariti, infatti, hanno un’aspettativa di vita simile a quella di chi non si è mai ammalato.
Come funziona il Ddl 2548
Per questo il Ddl 2548, che lo scorso 29 giugno ha iniziato il proprio esame presso la Commissione Giustizia, prevede che durante la stipula dei contratti di finanziamento o assicurazione sia vietato chiedere informazioni sulle patologie oncologiche pregresse una volta trascorsi dieci anni dalla fine delle cure mediche per gli adulti, e cinque anni per chi si è ammalato prima dei 21 anni. Per molti pazienti oncologici, l’aspettativa di vita si riallinea a quella normale proprio dopo cinque o dieci anni dalla fine delle cure. Per alcuni tumori – come quello alla vescica e le leucemie – ne sono necessari 15, mentre per altri – mammella e prostata – anche 20. Leggi simili al Ddl 2548 esistono già in Francia, Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi e Portogallo.
<February 4, 2023
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