La prima intervista di Salman Rushdie dopo l’attentato: «Mi siedo per scrivere ma non succede nulla»
«Mi siedo per scrivere, e non succede niente. Scrivo, ma è un misto di vuoto e spazzatura, roba che scrivo e cancello il giorno successivo. Non ne sono ancora uscito». A raccontarlo in una lunga intervista con il direttore del New Yorker è lo scrittore Salman Rushdie, sei mesi dopo l’accoltellamento subìto nel quale perse la vista da un occhio e l’uso della mano sinistra. Parlando dell’aggressione «colossale» avvenuta nella città di Chautauqua, nello stato di New York, per mano del 24enne Hadi Matar che voleva «punirlo» per «aver attaccato l’Islam», Rushdie confessa di sentirsi «molto fortunato», nonostante i danni riportati. «Sono stato meglio. Ma, considerando quello che è successo, non sto così male», ha detto. «Le ferite più gravi sono guarite: riesco ad alzarmi e camminare», racconta. E dice di avere ancora problemi a scrivere al computer per una mancanza di sensibilità ai polpastrelli. Sulla reazione rispetto all’aggressione, lo scrittore britannico di origini indiane confessa al quotidiano americano di non voler «fare la vittima». Ma ogni tanto gli capita di ricordare che «Qualcuno mi ha piantato un coltello addosso! Povero me… è una cosa che ogni tanto mi capita di pensare», afferma. «Fa male. Ma non voglio che le persone leggono il mio libro e pensino a questo», conclude Rushdie riferendosi al suo ultimo romanzo La Città della vittoria, completato poco prima dell’attacco e in uscita oggi, 7 febbraio. Nella foto che accompagna l’articolo, in bianco e nero, l’autore dei Versi Satanici e sulla cui testa pende una fatwa dal 1989, emessa dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, indossa un paio di occhiali da vista e una lente oscurata, per nascondere la ferita all’occhio destro.
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