Carcere ostativo, la Corte costituzionale non si esprime e rinvia gli atti ai giudici: la legge è cambiata
Le aspettative per l’ordinanza della Corte costituzionale, chiamata a esprimersi sul carcere ostativo, sono state disattese. Le questioni di incostituzionalità sollevate dai giudici del Tribunale di sorveglianza di Perugia e di quello di Avellino sono state analizzate dal Palazzo della Consulta e rinviate ai mittenti. Come mai? L’ufficio stampa della Corte, in attesa che l’ordinanza integrale venga pubblicata, sottolinea che le norme sul regime ostativo sono cambiate e, pertanto, spetta ai giudici valutare se sono ancora rilevanti le questioni di incostituzionalità che hanno sollevato sulla normativa. Nello specifico, è il primo decreto del governo Meloni, quello che ha introdotto nell’ordinamento il cosiddetto reato di rave party, ad aver modificato le disposizioni sul carcere ostativo. Approvato in Consiglio dei ministri il 31 ottobre scorso, è stato convertito in legge il 30 dicembre. Scrivono gli addetti stampa della Consulta:
Le nuove disposizioni incidono immediatamente sul nucleo essenziale delle questioni sollevate dalle ordinanze di rimessione, trasformando da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità che impedisce la concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione a favore di tutti i condannati per reati cosiddetti «ostativi», che non hanno collaborato con la giustizia.
Costoro sono ora ammessi a chiedere i benefici, sebbene in presenza di nuove, stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo.
Le regole del processo costituzionale impongono la restituzione degli atti ai giudici rimettenti, cui spetta verificare gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate, nonché procedere a una nuova valutazione della loro non manifesta infondatezza.
Il primo comma dell’articolo 4-bis della legge di ordinamento penitenziario, oggetto dell’esame della Consulta, stabilisce che, in caso di condanna per delitti diversi da quelli di contesto mafioso, ma pur sempre «ostativi», impedisce al detenuto che non collabora con la giustizia di accedere a misure alternative alla detenzione. Nei due casi specifici, trattati dai magistrati di Perugia e Avellino, la richiesta era di accedere all’affidamento in prova al servizio sociale e alla semilibertà per due detenuti.
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