L’ombra del sabotaggio su Nord Stream: l’infondato articolo del Pulitzer Hersh che incolpa Usa e Norvegia
Secondo Seymour Hersh, giornalista investigativo americano già Premio Pulitzer nel 1970, dietro la fuga di gas dal Nord Stream ci sarebbe un sabotaggio orchestrato dagli Stati Uniti in collaborazione con la sola Norvegia, sfruttando come copertura un’esercitazione annuale NATO nel Mar Baltico. Ne parla attraverso un articolo a sua firma pubblicato su Substack, una servizio che offre newsletter a pagamento e non su una vera e propria testata giornalistica. La sua fonte? Una soltanto e anonima, ma non è l’unico problema dell’intera narrazione. [Nota: questo articolo è stato aggiornato con ulteriori sviluppi]
Per chi ha fretta
- Seymour Hersh basa la sua argomentazione su un’unica fonte anonima.
- L’articolo pubblicato su Substack è ricco di dettagli su ogni elemento della fantomatica operazione segreta. Gli stessi dettagli smentiscono la narrazione.
- I mezzi indicati nella storia risultavano non operativi o non in uso durante le esercitazioni NATO citate come “copertura”.
- L’articolo presenta diversi avvenimenti infondati, inclusa un’impossibile collaborazione con gli americani nella guerra del Vietnam da parte del segretario della NATO Jens Stoltenberg.
Analisi
Hersh introduce l’argomento citando il Diving and Salvage Training Center (NDSTC), un centro di addestramento degli Stati Uniti dove vengono preparati sommozzatori altamente qualificati per la bonifica di ordigni esplosivi (EOD) e ingegneri subacquei per la marina americana. Fatta questa introduzione, utile a sostenere una certa preparazione d’élite, il giornalista racconta di un’esercitazione NATO BALTOPS 22 dello scorso giugno 2022 che sarebbe stata usata come copertura per piazzare degli esplosivi nei gasdotti Nord Stream. Secondo la sola e unica fonte anonima, gli ordigni sarebbero stati innescati a distanza verso fine settembre per non destare sospetti.
Una storia subito etichettata come completamente falsa dal portavoce della Casa Bianca, Adrienne Watson, contattata per un commento dallo stesso giornalista. Dello stesso parere anche Tammy Thorp, portavoce della Central Intelligence Agency (CIA). Risposte che, evidentemente, non hanno convinto il Premio Pulitzer, il quale prosegue la narrazione con un’altra lunga introduzione geopolitica per sostenere un interesse americano (e della NATO) nel sabotare l’infrastruttura.
Nella seconda parte dell’articolo, Hersh inizia finalmente a raccontare la sua versione sulla fantomatica operazione. Secondo la sua unica fonte (anonima), l’operazione sarebbe partita da una base NATO in Norvegia, uno dei primi Paesi firmatari dell’alleanza atlantica, individuando quella che sarebbe stato il luogo più favorevole per piazzare gli esplosivi, il largo di Bornholm. Al fine di non attirare l’attenzione delle marine danesi e svedesi, americani e norvegesi avrebbero organizzato un’esercitazione subacquea di posizionamento e distruzione mine a largo dell’isola di Bornholm durante la BALTOPS 22, l’evento annuale della NATO nel Mar Baltico.
Secondo l’articolo di Hersh, l’esplosivo sarebbe stato piazzato in gran segreto durante l’esercitazione per poi essere innescato da una boa sonar lanciata da un aereo P8, capace di emettere dei suoni a bassa frequenza «molto simili a quelli emessi da un flauto o da un pianoforte». Il 26 settembre 2022, un aereo di sorveglianza P8 della Marina norvegese avrebbe sganciato la boa durante un volo di routine.
Gli errori che smentiscono la narrazione
Al fine di attuare l’operazione durante l’operazione NATO, la Norvegia avrebbe dovuto installare gli esplosivi con una dragamine. Come spiegato da Joe Galvin, esperto OSINT del The Outlaw Ocean Project, sono tre le imbarcazioni “Alta class” in possesso della marina norvegese, ossia il modello citato da Hersh seguendo la sua fonte. Secondo i dati pubblicamente disponibili, nessuna di queste avrebbe preso parte dell’esercitazione BALTOPS 22. Galvin è riuscito tuttavia a individuare un’imbarcazione “Oksay-class“, ma il suo percorso risulta incompatibile con la narrazione della fonte anonima del Premio Pulitzer.
February 8, 2023
L’analista Oliver Alexander riporta un altro dato: oltre alla distanza tra il percorso del mezzo e il luogo della perdita, l’imbarcazione «non rallenta mai in modo significativo» e non risulta possibile che possa supportare quelle immersioni. Infatti, sempre secondo i conti dell’analista, tali distanze avrebbero richiesto almeno 3 immersioni separate per completare la fantomatica missione («Additionally as the three explosive locations were all miles apart, they would require at least 3 separate dives to accomplish the mission»).
Per quanto riguarda l’aereo P8, nessuno di quelli in dotazione dall’esercito norvegese aveva sorvolato l’area e non risultano voli nel periodo indicato. Non solo, nessun aereo P8 dell’esercito norvegese avrebbe effettuato un volo di routine in quell’area in quanto questo modello inizieranno i pattugliamenti a partire dal 2023. Risulta però un P8 americano, giunto sul posto oltre un’ora dopo la prima esplosione e dunque troppo tardi per essere ritenuto responsabile del fantomatico lancio di una boa.
Un grosso problema della “unica fonte anonima”*
Se esistesse la fonte anonima citata nell’articolo, Hersh avrebbe dovuto fare attenzione a non lasciarsi andare pubblicando informazioni che potrebbero permetterne l’identificazione. In questo caso, sostiene che la fonte sia a conoscenza dei piani dell’operazione (“operational planning”) riducendo di molto il numero di persone che avrebbero discusso in gran segreto del fantomatico complotto.
La questione della boa sonar*
Un elemento dell’articolo di Hersh è la mancanza di elementi che possano corroborare le varie fasi della fantomatica operazione. Oltre a non aver chiesto alcun commento alla scuola subacquea, alle autorità norvegesi, danesi o svedesi, non viene fornita alcuna informazione riguardo la fantomatica boa sonar. Esiste un brevetto o è mai stato utilizzato uno strumento del genere per azionare un esplosivo in mare a quelle profondità escludendo eventuali interferenze? Ha chiesto un parere a qualche esperto? Niente di tutto ciò viene riportato nell’articolo di Hersh, il quale si fida solo ed esclusivamente di una sola e unica fonte anonima.
Secondo Hersh bisognava fare attenzione al sistema di innesco, sostenendo che le cariche potevano essere attivate da altri suoni presenti nell’area, come rumori di fondo provenienti dalle navi, da trivellazioni sottomarine, da eventi sismici e altro ancora. Questo denota la mancata verifica sull’argomento, in quanto esistono già da anni tecnologie che operano senza alcun problema relativo ai “rumori di fondo”.
La segretezza e la copertura*
Le analisi sulle imbarcazioni e l’areo di Joe Galvin e Oliver Alexander smentiscono la narrazione. Il loro lavoro si è basato sulle fonti aperte, ma queste potrebbero essere state manipolate? Le imbarcazioni e gli aerei citati da Hersh potrebbero aver operato senza attivare i dispositivi di tracciamento? Chi propone queste teorie rischia di peggiorare ulteriormente la narrazione del giornalista.
Secondo il Pulitzer, americani e norvegesi avrebbero usato l’esercitazione BALTOPS come copertura per non destare sospetto, soprattutto alle autorità dei Paesi vicini oltre che agli altri membri della NATO partecipanti all’evento. Spegnere i dispositivi di tracciamento e utilizzare mezzi non indicati durante l’esercitazione va contro la narrazione di Hersh. Lo stesso vale per l’aereo, il quale avrebbe percorso il tragitto durante un volo di routine e dunque noto, non nascosto.
Teniamo conto dell’unica imbarcazione citata dagli analisti e presente durante l’esercitazione. Se fosse stato manipolato il tracciamento, il percorso non potrebbe combaciare temporalmente con l’intera presunta operazione di sabotaggio. Qualunque nazione partecipante all’esercitazione potrebbe controllare il tempo trascorso dall’imbarcazione norvegese con quello effettivo registrato durante l’evento. Il mezzo avrebbe dovuto seguire più di un’immersione in diversi punti del Mar Baltico, basti pensare che tra due dei punti danneggiati c’è una distanza di almeno 80 km, mentre i più vicini distano circa 6 km l’uno dall’altro.
Le navi che non ci sono**
Nel giornalismo investigativo devono essere fornite le prove. Hersh si affida alle dichiarazioni di un fantomatico informatore anonimo che vorrebbe tenere segreto, che però mette a rischio come spiegheremo a breve. Durante un’intervista a Democracy Now!, Hersh sostiene che l’imbarcazione utilizzata si chiamasse Alta e che facesse parte dell’esercitazione. Come dimostrato da Oliver Alexander, attraverso i dati forniti tramite il suo AIS, l’ultima volta che quella nave venne usata fu il 9 novembre 2012 e rimase ormeggiata nella base navale di Haakonsvern fino al 29 giugno 2022, quando venne trasferita per essere demolita.
Oliver non si basa soltanto sulla documentazione fornita dal sistema di tracciamento, dai quali non riscontra tracce di “spoofing” (per intenderci, falsificazioni). Le immagini satellitari (Sentinel 2) dimostrano come l’imbarcazione citata da Hersh fosse di fatto assente durante le esercitazioni NATO in quanto ferma nella base navale di Haakonsvern.
Ecco una foto, pubblicata il 29 giugno 2022, dove l’imbarcazione Alta viene trainata:
Oliver prosegue la sua analisi con ulteriori tracciamenti, anche satellitari, di altre imbarcazioni non citate da Hersh ma che potrebbero essere considerati da quest’ultimo in caso ritenesse di essersi sbagliato. Anche in questo caso, nessuna risulta riconducibile al fantomatico piano raccontato dalla “fonte” del Pulitzer.
La scelta di Substack*
Hersh pubblica il suo articolo su una piattaforma gratuita e senza alcun controllo, soprattutto editoriale. Un editore avrebbe richiesto più informazioni di quelle raccontate nell’articolo per corroborare la tesi e passare alla pubblicazione. Ciò non è avvenuto.
I colleghi di Maldita hanno chiesto a Hersh se avesse provato a far pubblicare il suo articolo in qualche media prima di scegliere Substack. La risposta è la seguente: «let us see what images in the nest few week».
L’errore su Jens Stoltenberg
Nel suo articolo su Substack, Hersh sostiene che il segretario della NATO Jens Stoltenberg avrebbe collaborato con l’intelligence americana sin dalla guerra del Vietnam. C’è un problema: quel conflitto ebbe inizio nel 1955, quattro anni prima della nascita dell’ex premier norvegese, per poi concludersi nel 1975, quando aveva 16 anni. Sarebbe bastato leggere la pagina Wikipedia a lui dedicata per individuare questi particolari, inclusa la definizione «convinto anticomunista» datagli da Hersh. Sarebbe bastato leggere anche le testate norvegesi, come The Local, dove vengono raccontate le serate adolescenziali di Jens Stoltenberg e un libretto di canzoni con una foto di Lenin in prima pagina.
Non è la prima volta per Seymour Hersh
Al di là della presunta e unica fonte anonima, l’articolo di Hersh non rispetta lo standard di un articolo investigativo. Non ha nulla a che fare con quello che gli ha permesso di vincere il Premio Pulitzer, corroborato da fonti oculari e prove documentate. Già in passato il giornalista aveva diffuso narrazioni prive di fondamento e successivamente smentite.
Come abbiamo visto in passato, vincere un prestigioso premio come il Pulitzer o il Nobel (vedasi il caso Luc Montagnier) non significa ottenere una credibilità permanente per qualsiasi successiva pubblicazione. Seymour Hersh ottenne il premio nel 1970 per aver svelato il massacro di My Lai durante la Guerra del Vietnam (non si comprende, vista questa esperienza, come possa aver collegato al conflitto Jens Stoltenberg), mentre nel 1981 pubblicò sul The New York Times una lunga smentita per aver pubblicato una teoria del complotto sull’ex ambasciatore Usa in Cile Edward M. Korry e il colpo di Stato cileno del 1973. Nel 2017 venne ampiamente contestato, in particolare da Bellingcat e dal Guardian, per le infondate affermazioni sull’attacco chimico di Khan Sheikhoun del 4 aprile 2017 in Siria.
Il video di Marco Travaglio a Otto e Mezzo***
Durante un intervento a Otto e Mezzo (La7), il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio dichiara quanto segue:
L’altro giorno un Premio Pulitzer, che si chiama Seymour Hersh, ha portato le prove del fatto che i gasdotti Nord Stream 1 e 2 non se li è autosabotati Putin dopo averci speso 21 miliardi di euro, sono stati sabotati dagli americani con i loro alleati fanatici del Nord Europa.
Il video dell’intervento è stato condiviso via Facebook attraverso il canale Telegram del complottista Ugo Fuoco.
Conclusioni
L’articolo pubblicato su Substack, a firma Seymour Hersh, non riporta alcuna prova a sostegno della narrazione. Il giornalista premio Pulitzer nel 1970 riporta diversi dettagli che gli avrebbe fornito una fonte anonima, ma questi risultano del tutto errati.
Valutazione: “FALSO” – «Contenuto senza nessuna base nei fatti. Teorie del complotto che attribuiscono la causa di un evento all’opera segreta di individui o gruppi, che possono citare informazioni vere o non verificabili, ma presentano conclusioni inverosimili. Esempio: dichiarare, senza alcuna prova, che membri del governo sono direttamente responsabili di un attacco terroristico per offrire un pretesto per entrare in guerra» (link).
*I capitoli segnati con l’asterisco sono stati aggiunti in data 15 febbraio 2023.
**I capitoli segnati con il doppio asterisco sono stati aggiunti in data 21 febbraio 2023.
***I capitoli segnati con il doppio asterisco sono stati aggiunti in data 27 febbraio 2023.
Questo articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false e la disinformazione nelle sue piattaforme social. Leggi qui per maggiori informazioni sulla nostra partnership con Facebook.
Leggi anche:
- Nord Stream, stallo nell’inchiesta sul sabotaggio. I dubbi dagli Usa: «Ancora nessuna prova contro Mosca»
- La Svezia conferma: «Nord Stream, è stato un sabotaggio»
- Nord Stream, il rapporto nelle mani della Nato: «Prima dell’incidente sono passate due navi con il localizzatore spento»
- Nord Stream, nessuna prova sul messaggio «È fatto» di Truss a Blinken: ecco cosa non quadra
- Mosca minaccia Londra: «Loro dietro attacchi a Nord Stream e Sebastopoli». Il Regno Unito nega: «Sono i russi a fallire sul campo»