Vasco Rossi ricorda Lucio Battisti e Dalla: «Due giganti senza tempo. Mi sento discepolo ed erede»
Due giganti. Così Vasco Rossi definisce oggi in un’intervista a il Fatto Quotidiano Lucio Battisti e Lucio Dalla. Il primo nato il 5 marzo 1943 e il secondo il 4, come ricorda una sua canzone. Due artisti, dice a Stefano Mannucci, «profondamente diversi l’uno dall’altro. Mi affascinano entrambi. Hanno segnato in profondità non solo il percorso della nostra musica, ma anche il mio cuore e la mia anima». Ma se proprio deve esprimere una preferenze, il Komandante vota Battisti: «Mi sento discepolo, addirittura erede. Anzi, figlio diretto della coppia Mogol-Battisti. Vengo da quel mondo lì». Perché Battisti «ha rivoluzionato la musica italiana. Un vero genio non solo dal punto di vista compositivo, ma anche negli arrangiamenti. Vent’anni più avanti rispetto agli altri».
Lo stile e le opere
Rossi dice che Battisti «aveva un timbro espressivo abbastanza improbabile, ma al tempo stesso era potente ed estremamente comunicativo. Non era affatto stonato. La sua eccezionale capacità di raccontare arrivava direttamente al cuore. Poi, vabbè, magari nei concerti non arrivava a riprodurre virtuosismi come nei dischi, quindi a un certo punto smise di esibirsi dal vivo. Chissà: forse per evitare problemi non avrà trovato la maniera e il tempo per impegnarsi anche su quel fronte». Mentre il fallimento dello sbarco sul mercato angloamericano, tentato con l’album “Images” nel 1977, Vasco se lo spiega così: «Lucio era portatore di una proposta italiana originale e all’avanguardia. Così ‘oltre’ rispetto alle nostre canzoni tradizionali che il business internazionale non riuscì a farne un prodotto mondiale. L’industria della musica era ed è dominata dalla cultura angloamericana uscita dalla seconda guerra mondiale. Quindi: o canti in inglese, e lui ci ha provato ma non è andata, o quelli che non capiscono l’italiano ti ignorano. A meno che tu non punti verso il pubblico spagnolo o sudamericano».
Quella volta che Dalla e Morandi…
Poi Rossi ricorda quella volta che Lucio Dalla insieme a Gianni Morandi si presentò a casa sua per conoscerlo. «Aveva ascoltato “Vita spericolata” e aveva detto “come hanno fatto questi a scrivere una cosa così bella?”. Si riferiva a me e a Tullio Ferro». Di Dalla Vasco apprezza soprattutto «la sua voce. Anche lui è un genio assoluto. Mi fulminò al primo momento. Avevo 15 anni, ero in collegio, ci facevano vedere Sanremo. Apparve lui sul televisore con 4.3.1943. Fu quella volta lì. Al tempo Lucio faceva parte del giro dei cantanti, era stato quello il recinto degli anni Sessanta, fino a poco prima. La cosa incredibile è che sia riuscito a diventare un cantautore, dapprima facendosi aiutare dal poeta Roberto Roversi, in seguito azzardando da solo la scrittura di testi immensamente belli. Un caso unico, nella storia della musica italiana».
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