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Ricostruzione dell’Ucraina, Campogrande (Fiec): «Gli Usa già al lavoro per assicurarsi il business mentre la Ue resta ferma» – L’intervista

24 Febbraio 2023 - 06:56 Alessandra Mancini
«Gli imprenditori europei senza garanzie non ci metteranno piede», dice Il direttore generale della Federazione europea dell'Industria dei costruttori che spiega a Open le criticità maggiori della futura ricostruzione del Paese in guerra, tra mancanza di sforzo collettivo, corruzione e ruolo degli Usa

Il più grande cantiere aperto del mondo è in Ucraina. Anzi, è l’Ucraina. Il Paese in guerra si sta preparando per accogliere l’enorme business della ricostruzione. Un progetto ancora lontano ma in realtà iniziato da tempo. Il direttore generale della Federazione europea dell’industria dei costruttori a Bruxelles (Fiec), Domenico Campogrande, dice a Open che si parlava di ricostruire il Paese già a maggio dello scorso anno: «Tre mesi dopo l’inizio del conflitto i nostri colleghi ucraini cominciavano a pensare al futuro post-bellico». Bisogna riedificare ponti, scuole e ospedali, infrastrutture energetiche. Ma anche strade, stazioni ferroviarie e porti spazzati via dalla guerra imperialista russa. Tuttavia, in che modo tutto questo si materializzerà è tutt’altro che certo. Senza scomodare il (nuovo) Piano Marshall, il programma statunitense per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale, invocato a gran voce da esperti e leader politici per un possibile sequel, l’Ucraina ha bisogno di ingenti somme per “rinascere”. E nonostante la situazione cambi di giorno in giorno, secondo una stima della Banca Mondiale, per la ricostruzione dell’Ucraina serviranno oltre 600 miliardi di dollari. Cifre, queste, «che verranno aggiornate a giorni», dice il direttore della Fiec.

La prospettiva di questo “tesoro-opportunità” sta smuovendo donazioni, certo, ma anche progetti imprenditoriali, strategie aziendali e pure un qualche tipo di opportunismo. Saranno coinvolti nella ricostruzione istituzioni europee, amministrazioni locali, ma anche il settore privato svolgerà un ruolo di primo piano. Eppure, su chi pagherà e come ci sono ancora «molti punti interrogativi», spiega Campogrande. «L’aiuto per la ricostruzione arriverà un po’ da tutti: ci sono discussioni a livello internazionale fra le principali istituzioni finanziarie che stanno già investendo un sacco di soldi per gli aiuti immediati e si stanno organizzando per il finanziamento futuro e anche le aziende private ne vogliono far parte». Nonostante l’interessamento, però, gli imprenditori hanno bisogno di «garanzie di sicurezza» per mettere piede nel Paese. La cristallizzazione del conflitto, nonché la grande corruzione in Ucraina frenano la possibilità delle imprese di ideare progetti futuri. Certo, ci sarà spazio per tutti. Ma chi arriverà prima, avrà la meglio. La concorrenza sembra essere già spietata: oltre all’Ue, ai blocchi di partenza ci sono gli Stati Uniti che più di tutti vogliono accaparrarsi la loro fetta di mercato il giorno in cui la guerra sarà finita. Fatto sta che dopo un anno di invasione, ora è arrivato il momento di pianificare come aiutare l’Ucraina a ricominciare. Ma come?

Tante discussioni, ancora poco di concreto

Al momento, sembrano esserci molte discussioni tra i diversi settori coinvolti, ma «poco di concreto che è stato definito. Attualmente i bisogni necessari sono quelli umanitari», dice il direttore generale Fiec. La platea di investitori, come ricorda anche il New York Times, che vedono nella ricostruzione un’opportunità economica si è già incontrata in diverse occasioni: a Davos durante il World Economic Forum; in Francia dove il presidente Emmanuel Macron ha messo insieme 700 aziende nazionali in una conferenza sulle opportunità legate alla rinascita post-guerra. Un’iniziativa simile si è svolta il 15 febbraio scorso a Varsavia, organizzata da Rebuild Ukraine con Fiec, alla quale si sono iscritte circa 300 imprese da 22 nazioni. E un grande evento italiano è stato annunciato anche dalla premier Meloni. Non c’è dubbio che gli investitori privati siano interessati a questa «corsa all’oro», nonostante il processo di pace che tarda ad arrivare e che, inevitabilmente, pone diversi interrogativi sui tempi e le modalità di attuazione della ricostruzione.

Lo spettro della corruzione

Gli imprenditori hanno bisogno anche di maggiori garanzie di sicurezza per operare in Ucraina, uno dei Paesi europei con il più alto tasso di corruzione. «Uno degli elementi principali per la ricostruzione sarà assicurare un quadro di governance che corrisponda agli standard di livello di trasparenza che abbiamo nell’Ue», dice Campogrande. «I nostri colleghi ucraini ci hanno detto di essere a conoscenza della dilagante corruzione nel Paese ed è proprio per questo che hanno bisogno di aiuto e di capire come ristrutturare gli appalti pubblici, come effettuare i controlli e fare in modo che non cadano nella trappola della corruzione». E se queste garanzie non dovessero arrivare, le imprese stesse potrebbero essere le prime a tirarsi indietro. «Ho parlato con alcune imprese e mi hanno detto chiaramente: “Sì sarà un mercato importante, sarà uno dei principali siti di costruzione a livello europeo, un grande opportunità. Però se non abbiamo garanzie chiare e trasparenti, non siamo disposti a metterci piede. Dobbiamo essere sicuri di non mettere a rischio la nostra azienda o finire in meccanismi poco trasparenti». Quindi, in questo senso, spiega Campogrande, «serve un segnale forte il prima possibile per assicurarsi che le imprese possano muoversi nel mercato futuro in modo trasparente».

Non c’è uno sforzo collettivo

L’attacco russo all’Ucraina ha costretto gli Stati membri e quelli della Nato a comportarsi come un’unica potenza politica, anche sul piano militare. Per quanto riguarda la futura ricostruzione «gli attori coinvolti si stanno muovendo in modo isolato», racconta Campogrande. «Purtroppo siamo di nuovo in una situazione in cui gli Stati Uniti si muovono per conto loro. Stanno facendo lobbying e cercando contatti sul territorio per accaparrarsi una fetta della torta di mercato». Per il direttore della Fiec, infatti, «a livello politico, questo sforzo comune ci può anche essere, ma nella pratica purtroppo ognuno si sta muovendo per conto proprio». Una concorrenza, dunque, che sembra spietata, ancora prima dell’inizio dei lavori. Paesi come Francia, Germania e Danimarca che patrocinerà la ricostruzione della città di Mykolaiv, si stanno muovendo verso iniziative individuali con contratti bi-laterali, firmati allo scopo di prender parte al grande business. «La Commissione europea cerca di sua iniziativa di avere un approccio europeo, più a livello politico – ribadisce Campogrande -. Quando si tratta di preparare il terreno alla ricostruzione, i Paesi cercano di crearsi i propri contatti. Anche a livello europeo – racconta – non abbiamo sentito parlare di iniziative Ue per organizzare grandi conferenze per la ricostruzione, si parla sì di finanziamento, ma poi concretamente su come coordinarci come Unione europea non c’è granché. Dobbiamo evitare che ognuno vada per conto proprio».

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