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Al via il nuovo Pd targato Schlein: cosa succede adesso al Nazareno? E tra i papabili per un posto da capogruppo, spunta il nome di Di Biase

27 Febbraio 2023 - 19:34 Felice Florio
Le tappe verso la formazione della nuova direzione, la questione capigruppo, il riposizionamento politico tra l'incudine 5 stelle e il martello Terzo polo

Le primarie del Partito democratico si sono concluse, ma la nuova conformazione del partito è ancora tutta da decidere. L’appuntamento da attendere è quello della prima assemblea che, probabilmente, sarà convocata il 12 marzo. In quell’occasione, Elly Schlein riceverà l’investitura ufficiale. Poi si dovrebbe procedere, nell’ordine, alla nomina della direzione e dei membri della segreteria. Sono 600 i delegati dell’assemblea eletti contestualmente al voto espresso ieri, 26 febbraio, nei gazebo. L’assemblea rispecchia proporzionalmente i risultati territoriali ottenuti da Schlein e Stefano Bonaccini, con un peso che si dovrebbe aggirare tra il 55% dei delegati per la neo segreteria e i 45% pescati dalle liste del candidato sconfitto. La direzione, invece, conterà su 200 membri. La lista sarà presentata dalla neo-segretaria che, un po’ per cortesia istituzionale e un po’ per garantirsi una navigazione il più condivisa possibile alla guida del partito, dovrà concedere dei posti agli esponenti degli altri candidati.

Secondo diverse fonti consultate, Schlein potrebbe scegliere un numero di dirigenti che va dai 120 ai 140. A Bonaccini lascerebbe decidere tra i 40 e i 50 membri della direzione, mentre a Gianni Cuperlo e Paola De Micheli i restanti. La segretaria propone l’elenco, l’assemblea lo approva o lo respinge. Compito della direzione sarà quello di stabilire la linea politica del partito. Dopodiché, Schlein presenterà ai delegati la formazione della segreteria. Sarà il suo braccio operativo finché resterà in sella al Nazareno, con i vicesegretari, i responsabili delle varie aree a farle da supporto. Non è da escludere che anche nella segreteria possa portare qualche nome indicato da Bonaccini. All’assemblea, infine, resterà il compito di deliberare sui cambiamenti statutari e sui regolamenti interni al Pd. Chiusa questa pratica, si aprirà la questione capigruppo. Debora Serracchiani, presidente del gruppo Dem alla Camera, ha già annunciato l’intenzione di rimettere il suo mandato: «È naturale che sia così. Con l’elezione del nuovo segretario troverei normale che venisse rimesso il mandato, lo avrei fatto anche se avesse vinto Bonaccini».

Di Biase prossima capogruppo alla Camera?

Della stessa opinione è la capogruppo al Senato, Simona Malpezzi: «Al netto dell’autonomia dei gruppi, ho sempre ritenuto giusto che con un nuovo segretario si mettesse a disposizione il mandato. Lo avevo già detto e lo avrei fatto anche con Bonaccini». Dichiarazioni fotocopiate e delle quali non c’è da stupirsi: è una questione di cortesia istituzionale, già avvenuta in passato. A poche ore dall’elezione di Schlein, tra i comunicatori e gli assistenti che ruotano attorno alla galassia Pd, è già iniziato il totonomi per i successori. Tra i più frequenti, per guidare il gruppo di Montecitorio, c’è quello di Michela Di Biase. «È il dazio che Schlein deve pagare a Dario Franceschini – il marito di Di Biase – per il sostegno ricevuto nelle primarie», afferma una fonte. «La retorica dell’eliminare le correnti è fuffa – dice un altro esponente Pd -, Schlein, come tutti, è vincolata a chi l’ha supportata». Il nome di Di Biase circola più degli altri, ma è improbabile che se ne sia già discusso. Potrebbe essere puro gossip parlamentare, tenendo conto che la figura di Di Biase è da tempo in ascesa nei ranghi di partito.

Il riposizionamento politico del nuovo Pd

Come cambierà il partito è presto per dirlo. Ma le posizioni pregresse espresse da Schlein pongono degli interrogativi all’interno delle aree di influenza. A cominciare dai riformisti. C’è chi si domanda come si concilierà il pacifismo spinto della nuova segretaria con le idee dell’ex ministro della Difesa e attuale presidente del Copasir, Lorenzo Guerini. Il capo della corrente Base riformista è stato tra i più attivi a sostenere l’invio delle armi a Kiev. In alcuni gruppi Whatsapp che fanno riferimento all’area centrista del Pd, nati per mandare avanti la candidatura di Bonaccini, pur di evitare di parlare della sconfitta c’è chi invia le foto dei propri animali domestici, chi immagini di cibo. L’indicazione sembra quella di prendere tempo prima di indire riunioni e analizzare l’accaduto. Il clima, in realtà, è teso. Si teme lo strappo di esponenti locali e semplici militanti. O peggio, la paura è il disconoscimento di una classe dirigente che «ha sbagliato tutto negli ultimi anni e si è lasciata scalzare da una che si è iscritta al partito tre mesi fa».

La delusione è forte. Leggiamo un messaggio di un giovane delegato di Bonaccini che non è riuscito a entrare in assemblea: «Questa generazione di riformisti è evidentemente da rottamare. Hanno fallito, non hanno un voto. Sono finiti in parlamento per grazia di Dio, anzi per grazia di Renzi. E hanno consegnato il partito alla Schlein». Un animatore di un comitato locale del Centro Italia, rammaricato, ci confida: «Passavamo le serate, riunioni intere a decidere chi doveva entrare in assemblea. Se le avessimo impiegate a cercare di raccogliere i voti, forse, ce l’avremmo fatta». Dalla Puglia, invece, un elettore di Bonaccini si lamenta perché, al suo posto, non ha corso la competizione il sindaco di Bari: «La candidatura di Bonaccini è tardiva di due anni. Doveva lanciarsi nel 2021, dopo le dimissioni di Zingaretti, sulla spinta della vittoria alle regionali. A questo giro sembrava già troppo cotto, era meglio se candidavano Decaro».

Tra l’incudine 5 stelle e il martello Terzo polo

Per i riformisti, che escono da queste primarie con le ossa rotte, l’appuntamento da tenere d’occhio è quello delle elezioni europee del 2024. Se Schlein non concederà spazio agli sconfitti, allora potrebbe iniziare la fuga verso altre realtà politiche. Ad esempio, nel Pd lombardo sono convinti che Giorgio Gori voglia correre per l’Europarlamento, «glielo permetterà Schlein?» si domandano in molti. «Le liste delle europee potrebbero essere uno dei punti di rottura». Indicativa anche la dichiarazione del sindaco di Bergamo, all’indomani delle primarie: «Dipende da Schlein se il Pd sarà ancora il mio partito». Gori pone tre interrogativi che, di fatto, segnano lo spartiacque tra Movimento 5 stelle e Terzo polo: «Terrà la posizione atlantista o no? Terrà la linea Letta sull’Ucraina o no? Sarà pragmatica sul lavoro che non è solo difesa dei salari ma anche creazione di lavoro o no?».

In questa prima fase, comunque, non sono previste fughe di massa. Sia Bonaccini che il coordinatore nazionale della mozione, il riformista Alessandro Alfieri, hanno invitato a dare una mano alla nuova segretaria e fatto un appello all’unità. Carlo Calenda sogna la campagna acquisti: «Dopo l’elezione di Schlein il campo è ben definito: Pd e 5 stelle su posizioni populiste radicali. FdI guida la destra. il Terzo Polo rappresenta riformisti, liberaldemocratici e popolari. Partirà un cantiere aperto e inclusivo per arrivare a un partito unico. Porte aperte». Senza un progetto stabile e con un bacino elettorale così traballante da aver fatto calare intorno al 5% le percentuali di Renzi e Calenda alle scorse regionali, per molti risulta ancora prematuro immaginare una migrazione.

L’auspicio della parte Dem che ha perso le primarie è che Schlein non si lasci affascinare dalle congratulazioni piovute sul versante grillino. Che il reddito di cittadinanza resti la loro bandiera e non venga issata anche sulla sede del Nazareno. Che sulle politiche ambientali non si rinunci al progresso e si continui a difendere la scelta di Roberto Gualtieri di costruire un termovalorizzatore a Roma. Anche perché un abbraccio con il Movimento, stretto sullo stesso spazio politico, porterebbe i due partiti a pestarsi i piedi. E a contendersi lo stesso elettorato, per la gioia del Terzo polo.

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