«Non è stato fatto tutto il possibile per salvare quelle persone»: cosa non torna sul naufragio di Cutro
Mentre il bilancio del naufragio di Steccato di Cutro – in cui hanno perso la vita almeno 64 migranti – continua a salire, c’è una domanda che si fa sempre più insistente: com’è possibile che nessuno sia riuscito a individuare quel barcone prima che si spezzasse a poche decine di metri dalle coste italiane? Secondo la versione ufficiale del governo italiano, un aereo di Frontex – l’agenzia europea della guardia costiera – aveva avvistato l’imbarcazione qualche ora prima dello schianto, a circa 40 miglia dalle coste italiane. Le condizioni meteorologiche e del mare, però, avrebbero costretto i pattugliatori della guardia di finanza a tornare a riva. Una versione che sembra non convincere proprio tutti. Il primo a mettere in dubbio questa ricostruzione è il soccorritore Orlando Amodeo, che a Non è l’arena ha dichiarato: «Quei migranti potevano essere salvati. Non è vero che le condizioni del mare, come dicono Interni e fiamme gialle, rendevano impossibile avvicinare la barca dei migranti. Noi abbiamo imbarcazioni in grado di affrontare il mare anche a forza 6 o forza 7».
Le ultime ore del barcone
Secondo la ricostruzione di oggi della Stampa, il giallo ha inizio alle 22 di sabato 25 febbraio, quando il barcone – partito da Smirne, in Turchia, con circa duecento migranti – viene avvistato da un aereo di Frontex. Sette ore più tardi, l’imbarcazione si spezzerà a pochi metri dalle coste calabre di Steccato di Cutro, condannando a morte decine di adulti e bambini. Secondo le regole del mare, il compito di Frontex non è di intervenire, ma semplicemente di segnalare il barcone in pericolo. Una volta fatta la segnalazione, la palla passa all’Italia, che attiva due unità di soccorso marittimo e della Guardia di finanza: la vedetta V 5006 di Crotone e il pattugliatore P.V.6 Barbarisi del gruppo aeronavale di Taranto. Non è chiaro a che ora si siano mosse le due imbarcazioni. Quel che appare certo, però, è che a un certo punto gli operatori decidono di tornare indietro a causa delle condizioni del mare. «Le dichiarazioni fatte finora sono sbrigative in modo offensivo, come di chi vuole chiudere la vicenda il prima possibile», dice oggi sulle pagine della Stampa Gianfranco Schiavone, esperto di diritto dell’immigrazione. «È evidente che tutto quello che si poteva fare non è stato fatto. Perché se anche una piccola vedetta non riesce ad affrontare un mare in condizioni difficili, serve disporre una ricognizione aerea o mandare una nave più grande, seppure più lenta», insiste Schiavone.
Le indagini
Ieri il procuratore di Crotone, Giuseppe Capoccia, ha fatto sapere di essere al lavoro per «ricostruire la catena dei soccorsi, dall’avvistamento in poi». Ma, ha precisato, «non ci sono indagini» per il reato di omesso soccorso. Secondo l’ammiraglio Vittorio Alessandro, ex portavoce del comando generale delle Capitaneria di porto, non si dovrebbe puntare il dito contro gli operatori di soccorso. Piuttosto, spiega oggi a Repubblica, c’è una «stortura istituzionale». «Quando l’imbarcazione è stata localizzata da un aereo di Frontex è stata inviata un’allerta circostanziata a tutte le navi in transito?», si chiede l’ammiraglio Alessandro sulle pagine del quotidiano romano. «E ancora. Le motovedette classe 300 – continua – sono inaffondabili e raddrizzabili. Ma sono state fatte muovere troppo tardi». Insomma, dalle prime ricostruzioni emergono due elementi: la segnalazione di Frontex e l’intervento delle motovedette italiane. Ciò che resta da chiarire è perché gli operatori abbiano deciso di rientrare senza aver evacuato il barcone colmo di migranti. Per chiarire la dinamica c’è chi in queste ore chiama in causa direttamente il ministro Matteo Piantedosi. Come Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra alla Camera, che ha chiesto al ministro dell’Interno di riferire in aula al più presto, così da chiarire una volta per tutte la dinamica degli eventi.
Foto di copertina: ANSA/ALESSANDRO SGHERRI
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