Inchiesta Covid, protocolli ignorati, misure tardive e allarmi sottovalutati: tutte le accuse della procura sui morti di Bergamo
«Di fronte alle migliaia di morti e le consulenze che ci dicono che questi potevano essere eventualmente evitati, non potevamo chiudere con una archiviazione». A parlare è Il procuratore della Repubblica di Bergamo, Antonio Chiappani: l’inchiesta sulla gestione Covid dei primi mesi nella provincia più martoriata d’Italia si è conclusa con un’accusa gravissime a carico dei massimi esponenti politici nazionali e regionali per le vittime della prima ondata di Covid nel marzo 2020. L’avviso di conclusione delle indagini notificato è stato notificato a 17 persone tra cui l’ex premier Giuseppe Conte, l’allora ministro della Salute Roberto Speranza, il governatore della Lombardia Attilio Fontana e il suo ex assessore Giulio Gallera: tutti accusati di aver «cagionato per colpa» la morte. Misure non adottate per tempo, restrizioni arrivate troppo tardi rispetto alla folle corsa del virus nei primi mesi di pandemia. «Con un decreto del 23 febbraio 2020 era stata richiamata la legislazione sanitaria precedente, per cui nel caso di urgenza c’era la possibilità sia a livello regionale sia anche a livello locale di fare atti contingibili e urgenti, cioè di chiudere determinate zone», spiega Chiappani. «C’era questa possibilità e poteva essere fatto proprio in virtù di questo diretto richiamo». Elementi che si aggiungono al mancato aggiornamento del piano pandemico italiano e che insieme ricostruiscono un quadro di inadempienze fatali. «Il nostro problema è stato sì quello del mancato aggiornamento del piano pandemico, e questo riguardava un lato ministeriale, ma anche la mancata attuazione di quegli accorgimenti preventivi che già erano previsti nel piano antinfluenzale comunque risalente al 2006».
Gli indagati
Oltre ai nomi influenti legati al governo di quei tempi, e quindi l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della salute Speranza, il governatore lombardo Attilio Fontana e l’assessore regionale alla Salute Giulio Gallera, le 35 pagine di avviso coinvolgono nelle accuse anche i componenti del Comitato tecnico scientifico tra cui il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro, l’ex coordinatore del Cts Agostino Miozzo, l’allora capo della protezione civile Angelo Borrelli, il presidente del consiglio Superiore di sanità, il bergamasco Franco Locatelli, l’allora direttore dello “Spallanzani” Giuseppe Ippolito. Nel focus della provincia più colpita d’Italia, i nomi citati si riferiscono anche a importanti esponenti della sanità locale e lombarda: come il direttore generale dell’Ats Bergamo Massimo Giupponi, il direttore generale dell’Asst Bergamo Est Francesco Locati e l’ex direttore sanitario Roberto Cosentina dai quali dipende l’ospedale di Alzano Lombardo, un comune che sarà centrale in molte delle accuse spiegate dalla procura di Bergamo.
Il mancato aggiornamento dei protocolli e la sottovalutazione degli allarmi dell’Oms
Nella conclusione delle indagini, durate ormai quasi tre anni, la Procura di Bergamo parla di «gravi omissioni» e di «un’errata gestione dei primi due mesi di pandemia», quando i dirigenti del Ministero della Salute, della Regione Lombardia e della autorità sanitarie locali avrebbero sottovalutato il rischio Covid. E questo, nonostante ci fossero, secondo il parere di chi indaga, strumenti ed elementi per evitare o quantomeno limitare l’enorme diffusione del virus. Tra le principali criticità riscontrate dai pm di cui sono ritenuti responsabili anche Silvio Brusaferro, Giulio Gallera e Angelo Borrelli c’è:
- la mancata adozione e il mancato aggiornamento dei protocolli già utilizzati nel 2002 e nel 2012 per contrastare prima la Sars e poi la Mers;
- la mancata applicazione delle fasi 1-2-3 del piano pandemico del 2006;
- la scelta di non applicare, nonostante le raccomandazioni dell’Oms, il piano pandemico nazionale antinfluenzale per farne uno nuovo sulla base delle esigenze emergenziali.
La mancata sorveglianza sui voli indiretti e l’assenza di dispositivi per operatori sanitari
L’ex capo della Protezione civile e il presidente dell’Istituto superiore di sanità, tra gli altri, sono accusati della mancata attuazione di protocolli di sorveglianza per i viaggiatori provenienti da aree affette con riguardo ai voli indiretti, limitando la sorveglianza solo ai voli diretti per l’Italia; nonché della mancata verifica sulla dotazione di mascherine, guanti, sovrascarpe e tute per tutti gli operatori sanitari. «Inoltrando solo il 4 febbraio 2020 specifica richiesta alle Regioni, non provvedendo tempestivamente all’approvvigionamento alla luce dell’insufficienza delle scorte», nonostante il Piano Nazionale di Preparazione e risposta per una pandemia influenzale del 9 febbraio del 2006 raccomandasse già nella fase interpandemica «l’approvvigionamento di DPI per il personale sanitario, e il censimento di una riserva nazionale di antivirali, antibiotici, kit diagnostici altri supporti tecnici per un rapido impiego nella prima fase emergenziale».
L’indicazione sui tamponi asintomatici e i disservizi dei numeri d’emergenza
Le accuse continuano con le disposizioni ministeriali che avrebbero fatto perdere tempo e ridotto l’incisività nel contrasto alla pandemia, come l’iniziale indicazione a non eseguire i tamponi agli asintomatici, la mancata predisposizione di un modello informatico per consentire alle Regioni di inviare i dati sui positivi; i ritardi e i disservizi del numero verde centralizzato 1500, i ritardi nell’attivare una piattaforma per il caricamento dei dati finalizzati alla sorveglianza epidemiologica, utile a comprendere la crescita esponenziale del contagio.
Le riunioni del Comitato Tecnico Scientifico che ignorarono la tragedia della Val Seriana
Nessuno, poi, avrebbe tenuto conto delle proiezioni dell’Istituto Kessler di Trento, secondo il quale in Bergamasca il contagio era fuori controllo e si sarebbero dovute attivare misure di contenimento almeno a partire dal 26 febbraio. A questo proposito il riferimento è anche alla mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana, per la quale dovranno rispondere non solo Conte e il presidente Fontana ma anche diversi membri del Comitato tecnico scientifico come Agostino Mozzo, lo stesso Brusaferro, l’ex capo della prevenzione del Ministero della salute D’amario, l’ex segretario generale Ruocco e l’attuale responsabile delle malattie infettive Maraglino. Secondo l’ipotesi dei pm di Bergamo la zona rossa a Nembro e Alzano avrebbe potuto risparmiare migliaia di morti: se fosse stata istituita il 27 febbraio, le vittime in meno sarebbero state 4.148; al 3 marzo 2.659. Nella riunione del 26 febbraio il Comitato tecnico scientifico secondo gli atti ha ritenuto «non sussistenti le condizioni per l’estensione a ulteriori aree della Regione, nella zona della Val Seriana, tra i quali i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, della zona di contenimento già istituita in Lombardia dal DPCM DEL 23 febbraio».
Una decisione presa nonostante durante l’incontro i membri avessero preso atto di come «i casi positivi al Coronavirus in Italia provenissero da aree della regione Lombardia diverse dalla zona rossa» fino a quel momento istituite. Stessa cosa succederà nella riunione del 28 febbraio, quando ai membri del Cts viene notificato un rapporto aggiornato dei casi registrati a quella data in Lombardia pari a 401, con aumento giornaliero di circa il 30% negli ultimi 5 giorni. Nessun parere espresso fino al 28 febbraio, quando il Comitato «si limiterà a proporre esclusivamente misure integrative» quali la sospensione degli eventi sportivi, la chiusura dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole, «senza invece proporre l’estensione per la zona rossa», nonostante a quella data il Cts fosse a conoscenza del numero di casi (351) registrati fino a quel momento in Lombardia e del relativo incremento nei giorni precedenti.
L’accusa sostiene che il Comitato avesse tutti i dati «per stabilire che in Lombardia si sarebbero raggiunti i 1000 casi dopo solo 8 giorni dall’accertamento del primo contagio» e che per questo fosse necessario anche ad altre zone le misure di distanziamento sociale da zona rossa. Parere che sarà lo stesso anche nella riunione del 29 febbraio. Valutazioni secondo chi indaga negligenti che avrebbero così lasciato il via libera a un contagio galoppante di 4.148 persone, «pari al numero dei decessi in meno che si sarebbero verificati in provincia di Bergamo, di cui 55 a Nembro e 108 ad Alzano Lombardo».
Foto di copertina: Bergamo, Ospedale Papa Giovanni XXIII Terapia intensiva Covid19 – 21/03/2020. Una delle foto simbolo della prima ondata di pandemia scattata dal fotografo Tiziano Manzoni (Ansa).
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