Inchiesta Covid, le chat tra gli esperti del Cts. Brusaferro: «Pensano che i tamponi per tutti servano a qualcosa». L’ex Oms Guerra: «Una cazz***»
«Il tema è che tutti pensano che il test serva a qualcosa». Così il 22 febbraio 2020, dopo il caso del Paziente 1, parlava Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. A rivelarlo è una chat emersa con Francesco Curcio, direttore del Dipartimento di medicina del Laboratorio di Udine, che è entrata a far parte degli atti dell’inchiesta di Bergamo sul Covid in Val Seriana. Nell’ultimo periodo è infatti tornata al centro delle cronache (e della giustizia) le dubbia gestione della pandemia e il fascicolo della procura lomabarda vede accusati diversi esponenti politici nazionali rilevanti, tra cui Giuseppe Conte, allora presidente del Consiglio, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza e il governatore Attilio Fontana. Ma anche altre figure a capo delle istituzioni sanitarie. In quel periodo da Londra era arrivato il consiglio di procedere con tamponi a tappeto perché «oltre 2/3 dei portatori sani provenienti dalla Cina erano rimasti «undetected» e avevano così avuto avuto il tempo di diffondere il virus». Consigli che il microbiologo Andrea Crisanti applicò nella sua strategia dei tamponi a Vo’ Euganeo, e che invece il presidente dell’Iss non seguì.
I dialoghi su Whatsapp tra Brusaferro e Curcio
«Come puoi immaginare siamo in continuazione in comitato di crisi», scriveva Brusaferro. «Ho immaginato. Noi siamo preparati. Qui il problema adesso è l’iperafflusso: in un paio di ore abbiamo già un centinaio di richieste di test. Rischiamo di saturare i sistemi di accoglienza e quelli di diagnosi», replica Curcio. Ed è a questo punto della conversazione che il presidente dell’Iss gli risponde: «Già il tema è che tutti pensano che il test serva a qualcosa». E Curcio rincara: «Ma poi così con questi numeri adesso, senza una vera emergenza non oso pensare alle richieste che faranno quando avremo i primo casi. Facciamo presto a rimanere senza materiali».
I messaggi di Locatelli: «Inutili i tamponi agli asintomatici»
Allora si proseguì con l’indicazione di fare tamponi solo a chi presentava sintomi simili a quelli influenzali e casi di sindromi di stress espiratorio acuto. Sulla linea dei tamponi adottata da Brusaferro, avrebbe concordato anche Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità che – scrivono gli investigatori nella loro relazione – «evidenziava l’inutilità di sottoporre a tampone le persone asintomatiche e il Ministero faceva propria questa indicazione. Nonostante il 25 febbraio 2020, i tecnici, tra cui lo stesso Brusaferro, avevano ricevuto una mail da Londra sul problema degli asintomatici». Inoltre, sempre secondo i documenti degli inquirenti, tra i motivi che spinsero a non procedere con un piano di tamponi massicci c’è il fatto che «né il Ministero, né la task force istituita presso il Gabinetto, né il CTS, né, tantomeno, le Regioni, avevano previsto lo stoccaggio di tamponi e di reagenti, ma si erano limitati ad una semplice ricognizione dell’esistente».
Il numero 2 dell’Oms a Brusaferro: «Tamponi a tutti? Una cazzata»
Tra i messaggi di Brusaferro spunta anche una chat con l’allora numero due dell’Oms, Ranieri Guerra, e datata 15 marzo 2020. «Fare tamponi a tutti adesso è la cazzata del secolo», commentava su Whatsapp con il presidente dell’Iss a cui ha poi chiesto se fosse vera la decisione di fare tamponi a tappeto a tutti. «No è che ognuno va per conto suo», rispondeva Brusaferro. E il direttore vicario dell’Oms rassicurava: «Ho parlato con Galli, poi, e gli ho detto di desistere dal proporre scemenze come tamponi per tutti. E ha convenuto, spero…».
Il braccio destro di Speranza e la chat con Bersani: «I nostri non sono stati all’altezza»
Ma non solo Brusaferro, Locatelli e Curcio. Nell’inchiesta emergono anche altre chat, sempre di fine febbraio 2020, che vede protagonista il braccio destro di Speranza, il capo di gabinetto Goffredo Zaccardi. La mattina del 23 febbraio scrisse a Pierluigi Bersani chiedendo con insistenza di sentirsi al cellulare. Ma, data la sua l’indisponibilità in quel momento, iniziò a scrivere: «Penso sia evidente che da Ruocco in giù i nostri non sono stati all’altezza». E commentò dando il suo parere: «Le persone che rientravano transitando da qualunque aeroporto del mondo dalla Cina andavano messe in quarantena. Questo non ci avrebbe messo totalmente al riparo dal virus, ma dalle responsabilità sì. E i voli erano molto più controllabili». Le risposte di Bersani non ci sono nelle carte dell’inchiesta, forse perché irrilevanti al caso giudiziario. Sono tantissime le chat che gli inquirenti hanno raccolto dai cellulari degli indagati e, al momento, danno un quadro allarmante di come venne gestita la situazione lombarda di allora.
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