Usa, le gru-spia cinesi nei porti americani che allarmano Washington. Pechino: «Solo paranoie»
Sono passate solo poche settimane dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina per la comparsa di palloni aerostatici non meglio identificai nei cieli americani. Tra le paure per una possibile azione di spionaggio e le rassicurazioni di Pechino sulla loro natura scientifica, le autorità di Washington hanno preferito comunque abbatterli. Ora, scrive il Wall Street Journal, i timori dei funzionari americani riguardano invece le grandi gru che si occupano del carico e dello scarico dei container nei porti degli Stati Uniti, anche in quelli militari. Circa l’80 per cento sono fabbricate in Cina, e l’azienda leader è la multinazionale statale cinese Zpmc. Secondo alcuni funzionari della sicurezza nazionale e del Pentagono, la tecnologia installata su di esse le rende dei potenti cavalli di Troia. Le grandi gru montate nei porti americani hanno infatti un software in grado di tracciare e registrare la provenienza e la destinazione dei container.
Le armi agli alleati
La tecnologia installata sulle gru sarebbe così in grado di registrare i dati sui container e sulle merci che transitano nei porti Usa, all’interno o all’esterno del paese. Essendo presenti anche nei porti usati dal Pentagono, i funzionari americani sono preoccupati che Pechino stia raccogliendo dati sensibili anche sugli spostamenti delle forniture di armi sia all’interno del Paese sia all’esterno, agli alleati e in supporto delle truppe statunitensi. «È la combinazione perfetta di un’attività commerciale legittima che può mascherare una raccolta clandestina di informazioni», ha detto al quotidiano statunitense l’ex alto funzionario del controspionaggio americano, Bill Evanina, secondo il quale i sensori delle gru potrebbero anche essere utilizzati da remoto per interrompere o rallentare il flusso di merci.
La riposta di Pechino
Le autorità cinesi, tramite un rappresentante della loro ambasciata a Washington, hanno negato la teoria delle gru-spia e hanno bollato questa preoccupazione come un tentativo «paranoico» di ostacolare il commercio e la cooperazione economica. «Far circolare la teoria della “minaccia cinese” è irresponsabile e danneggia gli interessi degli Stati Uniti stessi», il commento del funzionario.
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