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International Women’s Day, dall’Iran all’Ucraina: dove lottano le donne – La gallery

«L’Afghanistan, un angolo buio nel mondo», Simona Lanzoni (Pangea Onlus)

A circa un anno e mezzo dalla (seconda) presa di Kabul da parte dei talebani il 15 agosto 2021, avvenuta al culmine di un’offensiva militare estiva mentre le forze Nato si ritiravano dal Paese, l’Afghanistan si trova in piena crisi sanitaria e alimentare, e in cui la violazione delle libertà e dei diritti delle donne è sistemica. Secondo l’Onu circa 23 milioni di persone – il 55% della popolazione afgana – è a rischio insufficienza alimentare: una vera e propria crisi umanitaria in un paese che conta 3,5 milioni di sfollati interni. «I talebani in questi mesi, e da quando si sono insediati al potere, hanno cominciato passo passo a creare delle regole sempre più strette per le donne», dice a Open Simona Lanzoni, vice presidente di Fondazione Pangea Onlus. L’Afghanistan è l’unico paese al mondo dove non è permesso alle donne studiare, né frequentare le scuole superiori. Ma non solo: il 20 dicembre scorso l’Emirato islamico ha annunciato la sospensione dell’accesso all’università per tutte le studentesse afghane.

Alle donne è vietato lavorare fuori casa, ad eccezioni di alcuni lavori. Non ci sono donne al governo, né esiste un dicastero dedicato alle problematiche femminili. «Questo vuol dire anche interrompere la relazione tra le donne e anche la solidarietà che può esserci tra loro», spiega Lanzoni. Dalla caduta della capitale afghana, hanno sottolineato in un documento congiunto i governi di diversi Paesi, tra cui l’Italia, «i talebani hanno emanato non meno di 16 decreti ed editti che, tra l’altro, limitano la mobilità delle donne, allontanano le donne dai luoghi di lavoro, richiedono coperture dalla testa ai piedi, vietano alle donne di utilizzare spazi pubblici come parchi. Queste politiche – si legge nel comunicato – rendono evidente il disprezzo dei talebani per i diritti umani e le libertà fondamentali del popolo afghano».

L’ultimo editto, quello del 24 dicembre, che stabilisce come le donne non possano più lavorare per le organizzazioni non governative, sia locali che internazionali. La mossa, secondo una circolare pubblicata dal ministero dell’Economia, era giustificata dal fatto che alcune afghane non avessero rispettato il codice di abbigliamento islamico. Restrizione, questa, che ha costretto diverse organizzazioni, tra cui Save the Children, International Rescue Committee, il Consiglio Norvegese per i Rifugiati e CARE International, ad annunciare la propria impossibilità di operare sul territorio senza la forza lavoro femminile. Insomma, un regime di «apartheid di genere», come lo ha definito il Parlamento europeo. «Il più grande dei problemi che oggi devono affrontare le donne afghane riguarda la sopravvivenza». E in questo contesto, definito da Lanzoni «un angolo buio nel mondo», l’Occidente avrebbe potuto fare molto di più perché «da un lato c’è una questione umanitaria, ma dall’altro c’è una questione politica e di diritti umani», spiega. E fintantoché queste «tre dimensioni non lavoreranno insieme, sarà molto difficile passare un altro 8 marzo, pensando che le donne nel mondo siano liberate». Fin quando «avremo le donne in Afghanistan in questa condizione – né è certa la vice presidente di Pangea Onlus – nessuno di noi e nessuna di noi, potrà sentirsi libera».