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L’aborto negli Usa

Farmaci, medici contro, sentenze: la lotta per l’aborto negli Stati Uniti – La mappa

Va avanti la guerra dell’America conservatrice all’aborto. Con la sentenza Dobbs vs Jackson Women’s Health Oraganization del 24 giugno scorso, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rovesciato la Roe vs Wade con cui nel 1973 sette giudici a favore e due contrari resero l’aborto praticabile in tutti gli Stati Uniti, agganciando al principio della privacy – previsto dal 14° emendamento della costituzione – quello dell’autodeterminazione della donna sul proprio corpo e, dunque, la sua libertà di scelta. In sintesi, dopo cinquant’anni, i sei giudici conservatori hanno votato per rimuovere la copertura costituzionale all’aborto: da un diritto protetto a livello federale, si è passati alla normativa dei singoli stati, e all’arbitrio delle maggioranze politiche di ciascuna legislatura. Sono 13 (al momento) gli Stati che vietano l’interruzione di gravidanza: Texas, Idaho, South Dakota, Wisconsin, Missouri, West Virginia, Kentucky, Tennessee, Arkansas, Oklahoma, Louisiana, Mississippi, Alabama. L’aborto è poi vietato oltre le 6 settimane in Georgia, le 15 in Florida e Arizona, le 18 settimane in Utah e le 20 in North Carolina.

Finora sono stati proposti circa 300 disegni di legge relativi all’interruzione di gravidanza in 40 Stati, la maggior parte dei quali indirizzati a limitare l’accesso all’aborto. Nonostante le proposte di legge siano nella fase iniziale, una dozzina di queste sono rivolte al personale sanitario. Un esempio: nel Wyoming, i medici e gli infermieri che praticano aborti o prescrivono farmaci per l’interruzione di gravidanza potrebbero rischiare fino a cinque anni di carcere. Mentre in Iowa, dove l’aborto è attualmente legale entro le 22 settimane, una nuova proposta di legge renderebbe punibile la distribuzione di pillole abortive fino a 10 anni di carcere. La crociata contro i farmaci abortivi può essere spiegata dal fatto che negli Stati Uniti più della metà degli aborti viene eseguita con l’utilizzo di medicinali. Per questo motivo, le pillole che permettono di interrompere una gravidanza e i loro fornitori sono sempre più bersaglio delle associazioni pro-life e degli Stati conservatori.

In Texas, ad esempio, un gruppo di attivisti anti-aborto, rappresentanti dall’Alliance Defending Freedom, un’organizzazione di difesa legale cristiano-conservatore, ha intentato una causa per chiedere al giudice nominato da Trump, Matthew Kacsmaryk, di obbligare la Food and Drug Administration statunitense a revocare la sua approvazione relativa al farmaco abortivo mifepristone, quindi il suo acquisto nelle farmacie.Se al gruppo – che ha svolto un ruolo chiave in Dobbs vs Jackson Women’s Health – dovesse essere concessa un’ingiunzione a livello nazionale, come richiesto, la decisione potrebbe applicarsi agli stati in cui l’aborto rimane ancora legale. «Questa sentenza potrebbe essere devastante», ha detto Andrea Miller, presidente del National Institute for Reproductive Health. «Interrompere l’accesso critico ai farmaci per l’aborto – che è il metodo utilizzato da più della metà dei pazienti che abortiscono nel paese – causerebbe danni significativi, specialmente in un momento in cui Dobbs ha reso difficile o impossibile per molte abortire». Tuttavia, quella negli Stati Uniti è una battaglia anche per l’aborto. Ma non solo per l’aborto. Negli ultimi anni la destra tradizionalista americana ha fatto del ritorno ai cosiddetti Family values, la sua battaglia. Le caratteristiche dei movimenti pro-life attuali non sono più, per certi versi, quelli del passato: l’interruzione di gravidanza fa parte, infatti, di una lotta molto più ampia a favore dei valori famigliari tradizionali portati avanti da associazioni anti-gender, in cui all’interno rientrano pure i pro-life, radicate sul territorio.