Auto, che ruolo avrà l’idrogeno? «Ottimo per il trasporto pesante, ma non sostituirà mai l’elettrica» – Le interviste
È la molecola più leggera della tavola periodica, l’elemento più abbondante dell’universo e, secondo alcuni, anche un ingrediente fondamentale per la transizione energetica. L’interesse dell’industria automobilistica per l’idrogeno non è certo una novità. Il primo veicolo messo in vendita, la Hyundai Tucson, risale al 2013. Eppure, finora l’idrogeno non è mai riuscito a imporsi come vera alternativa alle auto a benzina e diesel. Anche l’Unione Europea, alle prese con l’approvazione del nuovo regolamento sullo stop ai motori inquinanti, ha scelto di puntare su un’altra soluzione: l’auto elettrica. «Se parliamo di mobilità leggera, quindi di automobili, penso che sarà il mercato a spingere l’idrogeno sempre più lontano», spiega Luca Iacoboni, economista ambientale di Ecco, il think tank italiano sui cambiamenti climatici. «Si tratta di una tecnologia che oggi non è conveniente da un punto di vista economico e non è efficiente da un punto di vista energetico», aggiunge Iacoboni. Se nel mercato delle automobili è difficile pensare che l’idrogeno potrà svolgere un ruolo di rilievo, lo stesso non si può dire per altre tipologie di trasporti. Il contributo più prezioso dell’idrogeno, infatti, potrebbe riguardare i mezzi pesanti, le navi e gli aerei. «Non esiste una gara tra tecnologie. La parola chiave è complementarietà», spiega Stefano Campanari, presidente di Hydrogen JRP, la piattaforma di ricerca sull’idrogeno del Politecnico di Milano. «La strategia europea prevede che la via maestra per decarbonizzare i trasporti sia l’elettrico, che però non riesce ad arrivare ovunque. Ed è qui che entra in gioco l’idrogeno».
Limiti e vantaggi delle auto a idrogeno
Per quanto riguarda le automobili a idrogeno, esistono due tipologie di veicoli. I primi sono le cosiddette fuel cell, in italiano «cella a combustibile», un dispositivo elettrochimico che genera elettricità senza che avvenga alcun processo di combustione termica. La seconda soluzione, invece, consiste nel convertire un motore tradizionale per permettere che possa essere alimentato a idrogeno, e non più a benzina o diesel. «Questa seconda soluzione prevede l’utilizzo di una tecnologia meno costosa, già nota e affidabile. Con alcune aziende che già sono in grado di realizzarla», spiega Andrea Sianesi, presidente della Fondazione Politecnico di Milano, a cui è affidata la gestione della piattaforma di ricerca sull’idrogeno.
Ma quali sono le differenze più grandi rispetto a un’auto elettrica? Innanzitutto, il prezzo. I modelli fuel cell più diffusi sul mercato, prodotti principalmente da Hyundai e Toyota, hanno un prezzo di vendita che parte dai 65/70mila euro. Per quanto riguarda le auto tradizionali riconvertite a idrogeno, invece, il problema è di tipo ambientale. «La tecnologia elettrica per le automobili permette di abbattere tutte le emissioni allo scarico – ricorda Iacoboni –. Le auto a idrogeno, invece, emettono anche ossidi di azoto, tra i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico». I vantaggi dei veicoli a idrogeno, semmai, hanno a che fare più che altro con le abitudini di guida. A differenza delle auto elettriche, infatti, hanno più autonomia e necessitano di pochi minuti per il rifornimento. «L’idrogeno permette una modalità d’uso simile ai veicoli odierni, adatta anche per tragitti molto lunghi e per elevate richieste di energia. Per questo i veicoli che sono stati proposti sul mercato non sono city car, ma soprattutto mezzi pesanti per trasporto merci, autobus, suv, berline e auto di grande taglia», sottolinea Campanari.
Ad oggi, però, la diffusione delle auto a idrogeno in Italia è praticamente nulla. E questo si deve non solo a una questione economica, ma anche (e forse soprattutto) di infrastrutture. «Le auto a idrogeno oggi sono presenti quasi esclusivamente a Bolzano, perché è lì che si trova una delle pochissime stazioni di rifornimento in grado di rifornire auto, bus e tir», precisa Cristina Maggi, direttrice di H2it, l’associazione italiana per l’idrogeno. Ad oggi, sono solo due le stazioni di rifornimento a idrogeno attive in Italia: una a Mestre (aperta nel 2022) e l’altra, appunto, a Bolzano. «Il Pnrr darà un forte investimento su questo fronte e ci aspettiamo che nel 2026 ci sarà una prima rete di distributori in grado di consentire la circolazione di auto e mezzi pesanti a idrogeno», aggiunge Maggi.
Dove l’idrogeno conviene davvero
Se per il mercato delle automobili l’idrogeno non sembra la soluzione più promettente, esistono altri settori in cui i progetti sono già ben avviati. In primis, il trasporto pesante. «In questo caso l’idrogeno permette di fare più chilometri, perché non ci sono batterie pesanti e ingombranti», precisa la direttrice di H2it. Per questo i fondi del Pnrr prevedono soprattutto la costruzione di stazioni di rifornimento a idrogeno non nelle città, ma lungo autostrade e tangenziali, nelle tratte più percorse dai mezzi pesanti. Poi c’è la questione dei treni. In Lombardia, Snam e Ferrovie Nord Milano stanno lavorando alla hydrogen valley, un progetto per la prima linea ferroviaria italiana – che collegherà Brescia, Iseo ed Edolo – interamente a idrogeno. «Un altro settore applicativo è la riconversione di alcune linee ferroviarie oggi servite da treni a gasolio e difficili da elettrificare. I treni a batteria già esistono, ma richiedono la costruzione di infrastrutture ad hoc. Per le tratte lunghe o in salita, dove la richiesta di energia è molto alta, l’idrogeno è la soluzione migliore», sottolinea Sianesi. Oltre a camion e treni, c’è anche il trasporto pubblico locale. Alcune città, come Milano, hanno puntato con decisione sull’elettrico, sostituendo gradualmente la propria flotta di autobus e filobus. Altre, invece, hanno scelto la via dell’idrogeno. «A Bologna ci sarà la flotta di autobus a idrogeno più grande d’Italia – precisa Maggi –. Si tratta di una scelta strategica che garantisce la stessa flessibilità dei carburanti tradizionali, soprattutto per le tratte extraurbane».
L’idrogeno potrebbe svolgere un ruolo fondamentale anche per l’industria hard to abate, ovvero tutti quei settori energivori dove risulta più difficile abbattere le emissioni di gas serra con le tecnologie attuali. «I nostri studi sugli scenari di piena decarbonizzazione ci dicono che l’idrogeno, insieme all’elettrico, svolgerà un ruolo fondamentale per raggiungere nel medio-lungo termine gli obiettivi di Net Zero. Soprattutto per il settore dell’aeronautica, parte dei trasporti terrestri, della navigazione e nell’industria, in settori come la chimica, la metallurgia o altri processi ad alta temperatura», precisa Campanari. Perché questo avvenga, avverte il presidente del centro di ricerca milanese, c’è bisogno di una condizione imprescindibile: «Grandi quantità di energia proveniente da fonti rinnovabili, circa dieci volte rispetto alla produzione attuale». Ad oggi, infatti, il tipo di idrogeno più utilizzato è quello «blu», ottenuto da fonti fossili in un processo che consente anche la cattura e lo stoccaggio della CO2. Il resto della palette di colori, che serve a calcolare l’impatto ambientale, prevede l’idrogeno nero (prodotto da una centrale elettrica a carbone o a petrolio), quello grigio (estratto dal metano) e infine l’idrogeno verde, proveniente da fonti rinnovabili.
La battaglia sui fondi
Per far decollare davvero il mercato dell’idrogeno, le aziende chiedono soprattutto nuovi incentivi. Ad aprile dello scorso anno, il ministro Roberto Cingolani ha messo a disposizione 450 milioni di euro del Pnrr per finanziare lo sviluppo della filiera dell’idrogeno verde. Secondo H2it, però, si potrebbe fare di più. «I fondi per la costruzione di stazioni di rifornimento ci sono, ma serve agire anche sull’acquisto dei veicoli: prevedere nuovi incentivi per gli autotrasportatori che decidono di decarbonizzare la propria flotta aiuterebbe tantissimo», insiste Maggi. Per Iacoboni, invece, la soluzione migliore sarebbe dare la priorità alla tecnologia ad oggi più promettente: l’elettrico. «L’idrogeno va utilizzato in quei settori dove non ci sono alternative. Il Pnrr, invece, ha previsto progetti pilota anche per tratte ferroviarie facilmente elettrificabili – spiega l’ingegnere ambientale –. Il rischio è che così si disperdano energie e risorse. E che la questione dell’idrogeno si trasformi in una battaglia ideologica».
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