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Petrolio, 2022 da record per l’Arabia Saudita: 161 miliardi di profitti. Amnesty: «Scioccante, si usino per finanziare la transizione energetica»

A far crescere i ricavi della compagnia Saudi Aramco, controllata al 94% dal governo di Riad, ha contribuito in modo decisivo l'aumento del prezzo del petrolio

161 miliardi di dollari. È la cifra record incassata nel 2022 dal colosso energetico Saudi Aramco, la compagnia petrolifera più grande al mondo. L’azienda è controllata al 94% dal governo dell’Arabia Saudita, primo Paese per esportazioni di greggio nel mondo e secondo produttore. A far impennare i ricavi dell’industria dei combustibili fossili è stato soprattutto l’aumento del prezzo del petrolio, attualmente a 83 dollari al barile. Saudi Aramco, però, non è l’unica azienda dell’industria fossile che ha potuto festeggiare i ricavi record del 2022. Il mese scorso, l’inglese Shell ha comunicato un utile di 40 miliardi di dollari, il più alto nella storia del Regno Unito. E lo stesso è accaduto anche agli altri big del settore, come le statunitensi Exxon (56 miliardi) e Chevron (36,5 miliardi), l’inglese British Petroleum (27,7 miliardi) e l’italiana Eni (20,4 miliardi).

Le proteste di Amnesty International

Gli utili record incassati dalle aziende petrolifere rivelano che il mercato dei combustibili fossili è tutt’altro che in via d’estinzione. Anzi, Saudi Aramco ha in programma di ampliare la propria capacità produttiva fino a raggiungere 13 milioni di barili al giorno entro il 2027. Uno scenario inquietante secondo le associazioni ambientaliste, che da anni sostengono che sia proprio l’industria fossile – principale responsabile dei cambiamenti climatici – a dover pagare il costo della transizione energetica. «È scioccante che un’azienda possa realizzare un profitto di 161 miliardi di dollari in un solo anno attraverso la vendita di combustibili fossili, il principale motore della crisi climatica», ha commentato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. «E ancora più scioccante è il fatto che questo surplus sia stato accumulato durante una crisi globale del costo della vita, aiutato dall’aumento dei prezzi dell’energia derivante dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina», ha aggiunto Callamard. Da qui dunque la proposta di Amnesty International: usare questi profitti record per finanziare la transizione verso le energie rinnovabili e migliorare il rispetto dei diritti umani in Arabia Saudita. «Questi ricavi non dovrebbero servire a coprire gli abusi di diritti umani. Dovrebbero essere usati a beneficio del pianeta e delle persone», ha precisato la leader di Amnesty.

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