Debito, bonus e Pnrr: in Germania torna lo spettro dell’Italia spendacciona. E la stampa loda il ministro: «Ha smontato il piano sfacciato dell’Ue»
Flessibilità? Forse, in parte, a fronte di impegni precisi. Ma cambiali in bianco, certamente nessuna. Una piccola era di politica economica si appresta a chiudersi in Europa – quella dei cordoni laschi sulla spesa pubblica aperta dalla doppia emergenza pandemia/guerra – e un’altra si appresta a vedere la luce. Ma in quest’interregno, è la novità messa nero su bianco da ieri, la Germania non ha alcuna intenzione di restare a guardare, “rischiando” che la Commissione disegni un nuovo quadro regolatorio – quello del nuovo Patto di stabilità e crescita Ue – eccessivamente comprensivo coi Paesi ad alto debito. Italia in testa. Il Belpaese, insomma, è tornato ufficialmente ad essere osservato speciale a Berlino e in altre capitali che condividono l’approccio tradizionalmente rigorista alla finanza pubblica. A rendere esplicita questa posizione, anche per la sorpresa di qualcuno, è stato ieri il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner. Spalleggiato piuttosto apertamente dai giornali che più da vicino interpretato i sentori dell’establishment economico tedesco. Le conclusioni della revisione del sistema di governance economica Ue presentate dall’esecutivo di Bruxelles «non sono carta bianca per la Commissione europea», ha detto ieri Lindner al termine della riunione dei ministri dell’Economia dei 27 chiamati ad esprimersi in proposito. «Di conseguenza – la conclusione resa nota a nome del governo di Berlino – è necessario un ulteriore lavoro per poter garantire il pieno sostegno» al nuovo quadro di regole. Se non una doccia fredda, un chiaro avvertimento a chi già pregustava un Patto all’insegna della piena flessibilità di spesa. Ma cosa c’è in ballo?
Vestiti su misura
Il dossier su cui erano chiamati a dare un primo feedback formale nella prima parte di questa settimana i ministri delle Finanze della zona euro (lunedì) e poi dei 27 al completo (martedì) riguarda il nuovo sistema di regole che dal 2024 dovrebbe guidare le politiche economiche dei Paesi membri. Come noto, il “vecchio” Patto di stabilità – che imponeva ai Paesi di restare entro i limiti del 60% di rapporto debito/Pil e del 3% nel rapporto deficit/Pil – era ormai una scatola vuota. Troppo evidente lo scollamento tra teoria e realtà. Il raggiungimento di quegli obiettivi era di fatto una chimera, non solo per i Paesi ad alto debito – come Italia, Spagna o Grecia – ma persino per le stesse “teste di serie” come Francia e Germania. E la catastrofe sociale in Grecia e il successo di euroscettici e populisti in buona parte dell’Europa del sud dopo gli anni dell’austerity aveva già convinto le cancellerie europee a cambiare registro. A palesare che il re era nudo è stato l’arrivo della pandemia e dei lockdown, sulla cui scorta i governi Ue avevano rapidamente deciso (marzo 2020) di sospendere il Patto, consentendo a se stessi ampi margini di manovra per scongiurare il collasso economico. La “clausola di salvaguardia” che permetteva la sospensione dei vincoli del Patto è poi stata prorogata per i due anni successivi, e ancora, alla luce della nuova emergenza – la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina – anche per tutto il 2023. Ma ora, con gli scongiuri del caso, le emergenze sono finite, o meglio sono diventate la “nuova normalità” per l’Ue, che deve adattarvisi con un nuovo quadro di regole, che dovrà entrare in vigore nel 2024.
Lo scorso novembre, come raccontato su Open, la Commissione ha dunque presentato dopo un lungo dibattito tra esperti e policy-maker la sua proposta. Decisamente innovativa, e certamente non sgradita ai Paesi che portano il peso più forte del debito pubblico: al posto del vecchio approccio di obiettivi numerici e temporali uguali per tutti da rispettare – è l’idea della Commissione presentata dai due vicepresidenti Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis – piani di rientro studiati su misura di ciascun Paese. Di modo da essere al contempo rigorosi negli obiettivi – il principio chiave resta quello della sostenibilità dei bilanci – ma realistici sui piani di attuazione. E flessibili, per l’appunto, con la possibilità per i singoli governi di negoziare piani di rientro dal debito diluiti nel tempo, in cambio di impegni misurabili su riforme e investimenti che favoriscano la crescita. Il modello esplicitamente indicato del nuovo framework è quello del piano Next Generation EU da cui sono gemmati i vari piani nazionali di ripresa e resilienza.
Messaggio in bottiglia
Tutto molto bello, visto da Roma. Un po’ meno, agli occhi dell’establishment tedesco. Che complice anche il cambio di governo nel frattempo avvenuto in Italia – ossia venuto meno il “garante in capo” Draghi – è passato gradualmente al contrattacco. Le tracce di questo nuovo approccio da falchi che ricorda a tratti quello del pre-2011 – negli anni “allegri” dell’ultimo governo Berlusconi – si scorgono chiare dietro al nuovo indirizzo di politica monetaria della Bce, chiamata proprio domani a varare un assai probabile nuovo rialzo dei tassi d’interesse che promette di procurare nuovi mal di pancia a governo e Bankitalia. Ma si trovano anche, ora esplicite, nei toni di nuovo baldanzosi – in termini di attacchi e sospetti sull’Italia, s’intende – di pezzi rilevanti di stampa tedesca. Il governo tedesco teme che il nuovo Patto sia «una Lex Italia», ha messo nero su bianco alla vigilia della riunione dell’Ecofin Handelsblatt, il principale quotidiano economico tedesco. Fuor di metafora, «il motore dell’ammorbidimento delle regole è l’Italia», il duro attacco.
Nel lungo articolo, si ricorda che l’Italia è il Paese più indebitato della zona euro dopo la Grecia e si che una cattiva gestione del suo debito pubblico – considerate le dimensioni della sua economia – «può mettere a rischio l’euro». «DZ Bank – viene ricordato – ha recentemente avvertito di un “circolo vizioso di aumento dei costi di rifinanziamento e diminuzione della sostenibilità del debito”». E si mette un polemico accento sulle difficoltà già venute al pettine del sistema-Italia nel “mettere a terra” i copiosi fondi Ue elargiti nel quadro del Next Generation EU. Oltre che, per non farsi mancare nulla, sui generosi bonus edilizi elargiti negli ultimi anni dallo Stato italiano a cittadini e imprese per rinnovare il patrimonio edilizio (il Superbonus che tanto ha fatto discutere anche dentro i nostri confini). Insomma, è il senso della riflessione che sembra “leggere nella testa” del ministro Lindner: decisamente meglio non far passare ai nuovi governanti (e cittadini?) italiani il messaggio che la nuova epoca sarà all’insegna della spesa libera.
«La paura centrale a Berlino – riassume Handelsblatt – : se i governi sono autorizzati a negoziare i loro piani fiscali bilateralmente con la Commissione europea, i criteri di Maastricht non valgono più nulla». Sulla stessa lunghezza d’onda sembra essere un altro importante quotidiano tedesco, la Frankfurter Allgemeine Zeitung, che nel suo commento a quanto accaduto a Bruxelles loda il “freno d’emergenza” tirato da Lindner, il quale – si sostiene – «non aveva altra scelta, proprio per risparmiarsi in seguito l’accusa di aver assistito passivamente a un ammorbidimento del Patto». Nelle scorse settimane la Commissione, sostiene polemica la Faz, «ha cercato sfacciatamente di presentare agli Stati membri un fatto compiuto con le sue raccomandazioni di bilancio secondo le nuove regole».
Contrattacco istituzionale
L’establishment politico-economico tedesco, insomma, passa esplicitamente al contrattacco. Non sino al punto da rimettere in discussione il piano per il nuovo Patto partorito dalla Commissione – almeno per ora. Ma il suo mandato è ora sotto stretta osservazione: la richiesta recapitata all’esecutivo di Bruxelles, e fatta mettere per iscritto all’esito della riunione Ecofin, è quella di chiarire per filo e per segno tempi, modi e metodi di calcolo con cui le istituzioni Ue sorveglierebbero sui rigori dei Paesi Ue nei loro percorsi di rientro dal debito. La partita, in attesa delle prossime mosse dei vari player, è più aperta che mai. Ma l’Italia e gli altri Paesi ad alto debito dovranno dormire sonni meno tranquilli di quelli dei mesi precedenti.
Foto: EPA/OLIVIER HOSLET
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