Il drammatico diario 2020 di Aida, la sola che capì lo tsunami Covid. I politici non la seguivano e si facevano la guerra in mezzo ai morti
Nelle oltre 2.400 pagine di allegati alla inchiesta di Bergamo sulla gestione della pandemia di Covid 19 è un personaggio più unico che raro fra i tantissimi dirigenti pubblici della sanità citati dai pubblici ministeri. Si chiama Aida Andreassi, nel 2020 lavorava nella direzione welfare della Regione Lombardia e ora dal febbraio scorso è direttore sanitario della Fondazione Ircss San Gerardo dei Tintori. Aida quando scoppiò la pandemia fu fra i pochissimi a rendersi conto della gravità della situazione e del dramma che si stava vivendo negli ospedali e nei pronto soccorso della Lombardia. La Andreassi è stata fin dall’inizio della pandemia una delle protagoniste della caccia disperata a tamponi, ventilatori, camici e mascherine e in solitaria una guerriera inascoltata per mettere in sicurezza tutta la Lombardia.
Quella sfuriata di Bonaccini a Conte
In quei giorni il suo superiore, Luigi Cajazzo, da Roma chattava con la moglie Mariapia dello scontro che il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, aveva avuto con il premier Giuseppe Conte sull’inerzia dell’esecutivo nella fornitura delle mascherine: «Rissa con Conte per le mascherine, perché il governo non ha fatto niente». La moglie chiedeva: «Perché gli avete fatto notare che se ne sono fregati bellamente?», e lui precisava: «Il presidente dell’Emilia Romagna li ha attaccati», strappando il plauso alla consorte: «Ha fatto benissimo». La Andreassi era nel frattempo in continua difficoltà con le Asst che le rivolgevano appelli drammatici per la mancanza dei Dpi per medici e infermieri, e lei sfinita ammetteva con uno di loro: «Hai ragione da vendere. Spero domattina. Mi spiace moltissimo. So in che condizioni sono gli ospedali. Vorrei riuscire a fare di più. Ma sono qui dalle 8 alle 23-24 da nove giorni (era il 29 febbraio 2020, ndr) e non sto neanche più in piedi. Continuo a correre, ma non arrivo dappertutto. Mi spiace».
Manca tutto in Lombardia e Roma fa orecchie da mercante
La Andreassi nel dramma ha una parola di conforto per tutti. Come il 3 marzo alle 6,56 del mattino quando il direttore dell’Asst di Bergamo Est, Francesco Locati, le invia un disperato appello perché hanno bisogno «di almeno 6-700 pezzi di Ffp2 e Ffp3», e Aida risponde a tamburo battente: «Appena arrivo in unità di crisi mi muovo. Forza, Francesco!». È sempre lei a sostenere già il 2 marzo che «Bergamo ormai è zona rossa, infettata come Lodi». E quella sera scrivendo al marito «È molto difficile spiegare a chi non è lì. Il tentativo di preservare Cremona e Bergamo è fallito in 24 ore. Chi è stato a Lodi, Cremona, Crema dice che è un inferno, dove finiscono le bocchette dell’ossigeno a cui attaccare i pazienti, i caschi Cpap e i respiratori. Credimi, è oltre le previsioni. Stasera ho visto il primo modello di proiezione che arriva a fine marzo e o riusciamo ad arginare o siamo sotto. Il governo non ci sta seguendo. Quando partirà Roma si accorgeranno forse degli errori».
Zangrillo vede Lodi e scoppia in lacrime
Sempre il 3 marzo la Andreassi cerca alla disperata un consigliere regionale, il bergamasco Niccolò Carretta: «Senti la situazione è molto peggio di quello che ti ho scritto in precedenza. La proiezione a fine marzo fa paura. Non è allarmismo, i dati sono chiari e l’andamento è pazzesco. Serve che il governo ci ascolti. Sappiamo che Speranza ha capito ma non ha la forza di convincere fino in fondo. Bisogna sostenere la zona rossa in tutta la Lombardia, o a fine marzo non avremo più risorse ospedaliere (…) Mi ha appena chiamato Alberto Zangrillo. Oggi è andato a Lodi. Fino a ieri non ci credeva. Stasera mi ha detto che non ci poteva pensare che sono in quelle condizioni. Lo sborone medico del Berluska che quasi si mette a piangere. Mi ha detto: Aida, era come un girone dell’inferno di Dante. Capisci che se arriva a Milano siano in ginocchio…».
Fontana ha capito, ma Salvini lo frena per mettere in crisi Conte
Il 7 marzo Aida esplode scrivendo al vicedirettore della sanità lombarda, Marco Salmoiraghi: «Sono qui con gli intensivisti. Mi viene da piangere, mi viene da piangere, mi viene da piangere». Poi svela di avere visto il presidente della Regione, Attilio Fontana: «Sai cosa mi ha detto il presidente? Che non si può dire la verità. Gli ho risposto che allora siamo come in Cina. Lui mi ha risposto che siamo peggio che in Cina, almeno lì lo sanno che c’è la dittatura. I nostri politici sono delle merde…». La Andreassi aggiunge: «Ieri un rianimatore del 118 mi ha chiamato piangendo perché sta scegliendo a chi mandare un’ambulanza e chi fare morire a casa. A Lodi iniziano ad estubare i pazienti anziani, i primi messi in terapia intensiva, per dare il tubo ai più giovani». Aida spiega che Fontana ha capito la gravità di quello che sta accadendo, anche perché ha ricevuto gli intensivisti in lacrime, ma «Ho saputo che Matteo Salvini non vuole che la Regione prenda posizione. Vuole mettere in difficoltà il governo».
L’ultimo sacrificio: «Non date l’ossigeno a me, ma ai miei pazienti»
Il 10 marzo la Andreassi scrive al sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, una storia drammatica ed eroica al tempo stesso: «Il responsabile del pronto soccorso del Gavazzeni è in terapia intensiva e non si è voluto fare intubare. Non voleva rubare la possibilità a qualcun altro. È in grave insufficienza respiratoria. Se i medici e gli infermieri sono disposti a questo, gli imprenditori possono – credo – inventarsi il lavoro estivo. La notizia è riservata ma le fa capire la nostra tragedia». L’Italia in quel momento è entrata in lockdown, ma in Lombardia molte attività sono riuscite ad ottenere di rimanere aperte, e il cenno di Aida è alla eventualità – poi scartata – di chiudere davvero tutto come fosse ferragosto, per poi invece tenere aperto in agosto. Ipotesi che però fu scartata.
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