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Auto elettrica, il caos degli incentivi italiani. Naso (Motus-E): «Non sorprendiamoci se nessuno li usa» – L’intervista

La denuncia delle associazioni di categoria: «Troppi vincoli e ritardi continui: così rischiamo di perdere gli investimenti»

Il 2022 è stato l’anno del boom della mobilità elettrica in Europa. Complessivamente, i 27 Paesi Ue hanno fatto registrare un +28% delle immatricolazioni di auto elettriche rispetto all’anno precedente. Si va dal +158% della Lettonia al +32% della Germania e al +25% della Francia. Tutte percentuali precedute da un segno positivo. O meglio: tutte tranne una. L’Italia, infatti, è l’unico Paese Ue che nel 2022 ha visto scendere la percentuale di nuove immatricolazioni di auto elettriche: -26,9% sull’anno precedente. Un dato che potrebbe nascondere diverse spiegazioni. Francesco Naso, segretario generale di Motus-E – la prima associazione italiana nata per sostenere la mobilità elettrica – ne suggerisce una: «Gli incentivi stanziati in questi anni dai governi italiani hanno avuto una scarsissima presa – spiega Naso -. I fondi per sostenere la mobilità elettrica ci sono, ma non li riusciamo a sfruttare».

Come funziona l’Ecobonus

Gli incentivi del governo per l’acquisto di un’automobile si dividono in tre fasce di emissioni. La prima (61-135 grammi di CO2/Km) riguarda le auto a benzina, diesel e ibride. Per questi veicoli, il governo mette a disposizione un bonus di 1.500 euro in caso di rottamazione di un’auto più inquinante, con un cap massimo di prezzo di 35mila euro. La seconda fascia (21-60 grammi di CO2/Km) comprende le auto ibride plug-in. Qui il bonus previsto dal governo varia da 4 mila euro (in caso di rottamazione) a 2 mila euro (senza rottamazione) con un cap fissato a 45mila euro. Infine, la terza fascia (0-20 grammi di CO2/Km): un bonus che va da 3mila a 5mila euro per le auto elettriche e a idrogeno, con un cap di prezzo fissato a 35mila euro.

Nel 2022, i 170 milioni di euro stanziati per le auto a benzina e diesel sono finiti nel giro di sole tre settimane. Il 44% dei fondi per le auto elettriche, invece, è rimasto nelle casse dello Stato. Come si spiega? «Innanzitutto, va detto che l’Italia è l’unico dei grandi Paesi europei a incentivare l’acquisto di auto endotermiche, che già rappresentano la principale fascia di mercato», sottolinea Naso. Per quanto riguarda le auto elettriche, il problema sembra essere il limite massimo di prezzo fissato a 35mila euro, giudicato troppo basso per la categoria di veicoli. «Non ha senso che le ibride plug-in abbiano un tetto di prezzo più alto delle elettriche, pur rappresentando una tecnologia meno avanzata del full electric. Oltretutto, si tratta di uno dei limiti più bassi d’Europa», denuncia il segretario generale di Motus-E.

Annunci lasciati a metà

Nel caso delle auto aziendali, il quadro si complica ancora di più. Lo scorso autunno, il governo ha stabilito che le aziende che acquistano veicoli elettrici possono godere del 50% dei bonus previsti per i privati cittadini. Una cifra ritenuta troppo bassa dal mondo delle imprese, che ha in larga parte ignorato gli incentivi. «Elettrificare le flotte aziendali è fondamentale, perché permettono un contatto diretto con la tecnologia a molte più persone», spiega Naso. Non solo: l’altro grande vantaggio delle auto aziendali è che spesso tornano qualche anno più tardi sul mercato dell’usato, contribuendo a far abbassare il prezzo dei nuovi veicoli elettrici. «Crediamo che nel caso delle aziende la soluzione migliore sia agire sulla deducibilità fiscale piuttosto che sul costo all’acquisto. Altri Paesi europei già lo stanno facendo», aggiunge il segretario di Motus-E. Anche nel caso dei veicoli più pesanti, gli incentivi sembrano essersi rivelati piuttosto inefficaci. Per i tir elettrici, l’Italia mette a disposizione un bonus di 12mila euro. Mentre in Germania, per esempio, lo Stato concede un incentivo pari all’80% della differenza di costo tra un veicolo elettrico e uno diesel.

A bloccare il mercato della mobilità elettrica contribuisce poi un altro fattore tipicamente italiano: i tempi della burocrazia. «Gli incentivi per le colonnine di ricarica private sono stati annunciati a ottobre. Sono passati 5 mesi e ancora non sappiamo quando arriveranno e come funzioneranno», spiega Francesco Naso. Stesso discorso anche per gli incentivi sul retrofit dei veicoli, ossia la possibilità di trasformare un’auto a motore in auto elettrica grazie a un apposito kit. «È una soluzione destinata a crescere nei prossimi anni – sottolinea il segretario generale di Motus-E –. C’è solo un problema: la piattaforma per accedere agli incentivi è uscita a febbraio 2023 e sulla pagina del sito c’è scritto che i fondi sono validi solo fino a dicembre 2022…». Secondo le associazioni di categoria, tutti questi intoppi non fanno altro che scoraggiare gli investitori. «Le case automobilistiche non possono fare una pianificazione precisa in Italia e finiscono per concentrarsi su altri mercati. È anche per questo che in Europa vanno quasi tutti meglio di noi», insiste Naso.

I fondi del Pnrr a rischio

L’ultimo allarme, infine, riguarda i fondi per le infrastrutture di ricarica. Con il Pnrr, l’Unione Europea ha messo a disposizione 710 milioni di euro per costruire una rete da 21mila colonnine, che ci renderebbe uno dei Paesi europei più all’avanguardia su questo fronte. Motus-E, però, evidenzia due problemi: le scadenze incompatibili con gli iter autorizzativi italiani e l’impostazione dei bandi. «Gli ambiti di gara sono troppo grandi. Si aggiudica l’appalto chi può garantire il numero minimo di punti di ricarica previsto nel bando, ma spesso quel numero è troppo alto, soprattutto per gli operatori più piccoli», spiega Naso. Il secondo nodo, invece, riguarda le tempistiche dettate dalle misure attuative italiane, che spesso sono incompatibili con l’iter autorizzativo che viene richiesto, dove a dare il via libera a queste infrastrutture sono le amministrazioni locali. Il rischio, denuncia Motus-E, è di perdere un treno che probabilmente non passerà un’altra volta. «Non sfruttare questa occasione sarebbe criminale – incalza Naso –. Abbiamo segnalato già allo scorso governo ciò che secondo noi non funziona. L’esecutivo ha tutti gli strumenti per intervenire, ma finora è rimasto tutto uguale».

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