Università e lavoro, l’emorragia di talenti è ripresa dopo il Covid: «L’Italia perde l’8% dei suoi laureati ogni anno»
Tra il 5% e l’8% dei laureati italiani parte per l’estero. Questo è quello che emerge dall’elaborazione dei dati del Ministero dell’Università con quelli dell’Istat fatta dal Sole 24 Ore. E l’emorragia è grave. Nonostante il fenomeno abbia subito un rallentamento durante la pandemia grazie a numerosi rientri, nel periodo il saldo tra chi parte e chi torna è comunque negativo: -79 mila persone tra i 25 i 34 anni con in tasca un titolo di istruzione superiore. Partono da tutta Italia, ma c’è un problema. Se i posti vacanti del Nord vengono riempiti dai laureati del Sud, lo stesso non avviene nel Meridione, che si spopola di talenti senza che vi sia una compensazione. A partire, sono professionisti altamente formati e qualificati: medici, ingegneri, specialisti dell’informatica. E questi numeri non tengono conto di un altro fattore: la fuga di cervelli sempre più spesso inizia già durante gli studi.
All’estero si guadagna il 50% in più
La ragione è quella che si può immaginare. I giovani laureati partono attratti dalle migliori opportunità offerte all’estero, «soprattutto in termini di retribuzioni e prospettive di carriera», si legge nel rapporto di AlmaLaurea. All’estero c’è una minore incidenza del lavoro autonomo. Solo il 4,6% lo sceglie fuori dai confini nazionali, contro il 13% in Italia. Rapporto opposto per i contratti a tempo indeterminato: 51,8% all’estero, 27,6% in Italia. A pesare, forse più di tutto, è la questione economica. Chi si trasferisce, a uno anno dalla laurea, ha una retribuzione mensile di circa 1.963 euro mensili netti. Contro i 1.384 euro percepiti in Italia. A cinque anni, poi, quasi non c’è paragone. Oltre 2.350 euro all’estero, appena 1.600 in Italia.
L’Italia caccia più talenti di quanti ne accoglie
Confrontando il nostro Paese con il resto d’Europa e gli Usa, ci si rende conto delle differenze, e del perché i mancati rientri ci costino ogni anno l’1% del Pil. Secondo l’ultima rilevazione Unesco, il 4,2% dei laureati ha lasciato il Paese, mentre a entrare sono stati l’equivalente del 2,9%. Nel Regno Unito l’uscita si limita all’1,5%, mentre l’entrata tocca il 20,1%. In Germania esce il 3,8% ed entra l’11,2%. In Francia le cifre sono rispettivamente 4% e 9,2%, in Spagna 2,2 e 3,8; mentre in Portogallo 6 e 11,6. Il nostro è l’unico Paese con un saldo negativo tra quelli considerati. Che caccia più talenti di quanti ne accoglie. Ma di quanti soldi stiamo parlando? Per formare un laureato, calcola la Fondazione Nord Est, servono 300 mila euro, tra spese della famiglia e dello Stato. un investimento perduto se poi il talento lascia l’Italia. Un danno che negli ultimi 10 anni viene stimato in 600 miliardi di euro, per un totale di circa 2 milioni di esodi se si contano anche quelli avvenuti a metà del percorso di studi.
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