Rovigo, la prof colpita con la pistola ad aria compressa scrive una lettera alla commissione Cultura del Senato: «Lasciata sola da colleghi e dirigenti»
Maria Cristina Finatti, 61 anni, è una professoressa dell’Istituto Viola-Marchesini di Rovigo. Insegna scienze e biologia e, lo scorso 11 ottobre, è stata presa di mira dagli alunni di una classe di prima superiore. Letteralmente: le hanno scaricato addosso dei pallini con una pistola ad aria compressa. L’autore del gesto, in realtà, è stato un singolo studente, il quale però si era messo d’accordo con gli altri compagni di classe. Tant’è che i due momenti in cui la professoressa è stata colpita sono stati entrambi ripresi con i cellulari e, in seguito, i filmati sono stati diffusi sui social. Adesso, Finatti ha scritto una lettera alla settima commissione permanente di Palazzo Madama – Cultura e patrimonio culturale, istruzione pubblica, ricerca scientifica, spettacolo e sport – la quale sta svolgendo un’indagine conoscitiva sulle violenze a scuola perpetrate ai danni di insegnanti e personale Ata. Ecco il testo inviato ai parlamentari:
Preciso di essere docente di Scienze della Terra e Biologia e insegno nel biennio dell’istituto tecnico rodigino IIS “Viola Marchesini”, nelle classi prime. Come noto in data 11.10.2022, durante lo svolgimento della mia lezione, si è verificato un fatto gravissimo. Più precisamente, sono stata colpita, prima alla testa e poi al volto, da due pallini di plastica, con l’utilizzo di una pistola ad aria compressa. Per puro miracolo, non ho subito un danno, forse anche irreversibile ad un occhio, in quanto protetta dalla mascherina FFP2, che indosso sempre durante le lezioni.
Il fatto è stato ripreso da un alunno, tramite l’impiego del suo cellulare, e pochi istanti dopo il video è stato immesso in rete, avendo una diffusione virale.
Non mi dilungherò sullo svolgimento dei fatti accaduti, in quanto ben noti a Codesto Ecc.mo Senato della Repubblica, in ragione sia della risonanza mediatica nonché a seguito delle interlocuzioni avvenute direttamente con il Ministro dell’Istruzione, prof. Valditara. Molteplici sono le ferite che hanno segnato in modo indelebile la mia dignità e sensibilità prima di tutto come persona e anche quale docente.
Infatti, dopo i primi clamori locali che hanno fatto seguito ai fatti del 11.10.2022, la mia vicenda personale è stata avvolta da un oblio totale; ho percepito proprio la volontà da parte di tutti di soprassedere a tale episodio, come se nulla fosse accaduto; si doveva “dimenticare tutto”.
Riservate le mie valutazioni dal punto di vista etico, faccio presente che è stata del tutto negletta anche la valenza penalmente rilevante degli eventi, di cui sono stata, mio malgrado, vittima.
Dopo pochi giorni l’accaduto, ho avuto la chiara e ferma percezione, in tutti i soggetti che mi circondavano, che l’ormai noto episodio non si fosse mai verificato.
Mi sono sentita del tutto abbandonata e tale assordante silenzio ha ingenerato la sensazione che tutto fosse avvenuto quasi per mia colpa.
Dopo una prima solidarietà quasi dovuta e di rito, tutto è stato avvolto dall’indifferenza, dal disinteresse assoluto, con un radicale svilimento della mia persona.
Non ho percepito da alcuno la vicinanza per la gravità di una condotta, che, nel caso di specie ha interessato me, ma ben può accadere in danno di altri colleghi della nazione, i quali, come me, si recano a scuola ogni mattina e cercano di trasmettere contenuti e conoscenza ma, prima di tutto, il rispetto dell’altro.
Benché vittima e persona offesa per quanto accadutomi, sono stata fagocitata da un vortice mediatico, dove la mia identità era diventata un oggetto. E a tale conclusione pervengo in quanto il fatto occorso, impregiudicata la sua gravità in re ipsa, era diventato occasione per dileggiare un docente, che svolge il proprio ruolo, letteralmente gettato in pasto al pubblico ludibrio di tutti gli utenti di social ed internet. Dopo un periodo di profondo scoramento e quasi anestetizzata da quanto accadutomi, ho trovato infine la forza di reagire e mi sono rivolta ai miei legali, avv. Tosca Sambinello e avv. Nicola Rubiero, dai quali in primo luogo ho avuto una profonda solidarietà ed amicizia. Con l’aiuto dei miei legali, ho trovato la forza di rialzarmi, di sollevare lo scudo a difesa della mia calpestata dignità e, pertanto, ho attuato l’unica cosa possibile, vale a dire chiedere giustizia alle competenti istituzioni.
Grazie al supporto affettivo di Tosca e Nicola, sono riuscita a rendere pubblica e denunciare i fatti che mi hanno coinvolto, trovando la forza di tutelare la mia calpestata dignità personale e professionale.
È doveroso uno spunto di riflessione sul ruolo del docente, senza voler comunque cadere in una facile generalizzazione.
L’indifferenza e la noncuranza dei molti, troppi che mi hanno circondato, mi ha fatto capire che, spesso, gli studenti non hanno alcuna considerazione del docente e della sua fondamentale funzione, che è quella di “gettare un seme” nella mente degli alunni, con l’auspicio che esso germogli e diventi pianta. Uso questa metafora, in quanto ritengo che lo scopo principale del mio lavoro sia quello di aiutare la crescita delle menti, la capacità di sviluppare il ragionamento e la coscienza critica, ciò al di là delle singole conoscenze apprese.
Analoga ed ancor più grave percezione ho avuto nel contegno dei genitori, i quali si sono blindati in una difesa indefessa e aprioristica dei loro figli.
Giungo pertanto alla conclusione che ormai anche i genitori hanno perduto il senso della funzione del docente e del suo ruolo di “aiuto” alla crescita del figlio, destinato a diventare un cittadino, al quale non possono mancare i principi basilari della convivenza civile.
Ho percepito come pugnalate i commenti di quanti hanno quasi attribuito la colpa a me di quanto occorso, in quanto ciò sarebbe avvenuto a causa di mie supposte carenze nella gestione della classe.
Se anche ciò fosse vero, non si giustificano episodi quali quello che mi è occorso. E mi preme sottolineare la pericolosità di tale pensiero, in quanto il contestato ragionamento è fondato sulla noncuranza dei principali valori del vivere comune. Per usare un’iperbole, sulla scorta di questo argomentare, si giungerebbe quasi alla conclusione che sarebbe lecito e giusto che una persona cada al suolo, se non ha mezzi per sostenersi.
La mia “denuncia” si sospinge oltre la vicenda personale. Infatti, rendendo pubblica la questione, ho voluto sensibilizzare le persone e, soprattutto, i colleghi a denunciare fatti analoghi al mio.
Il docente non è merce di scambio, la cui legittimità viene riconosciuta solo se il consumatore finale è soddisfatto.
Ed è proprio questa la percezione che oggi molte scuole lasciano trapelare ai ragazzi e ai loro genitori, classificati ormai quali “utenti – consumatori finali”.
Il percorso avviato con i miei legali, in ogni caso, non ha lenito né alleviato la ferita inferta alla mia persona. E tale convincimento è suffragato dalla perdurante condotta degli alunni e dalle interlocuzioni con i loro genitori. Questo pervasivo svilimento valoriale rende assai gravoso lo svolgimento delle mie lezioni quotidiane, per due ordini di ragioni. Infatti, in primo luogo vivo nel timore anche solo della irrisione degli alunni della scuola, accompagnata dall’indifferenza dei colleghi. E nel contempo, quale cittadina, mi rammarica il decadimento morale, che si ravvisa anche nei fondamenti dei rapporti interpersonali.
Ho trovato un supporto nella politica e ringrazio la sensibilità del Ministro, manifestata verso di me.
In conclusione, il senso del mio intervento è quello di dare voce alla figura dell’insegnante e al suo ruolo educativo – culturale, confidando che la scuola possa intervenire fattivamente per colmare quelle carenze relazionali e valoriali di tutti gli utenti della scuola, mancanze da cui derivano non solo fatti analoghi al mio ma una fragorosa e ovattata indifferenza da parte della collettività.
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