Scontro Meta, la verità della Siae: «Trattative saltate all’improvviso. I nostri brani usati a licenza scaduta» – L’intervista
«Questa canzone non è al momento disponibile». È trascorsa una settimana da quando Meta ha annunciato di non aver raggiunto l’accordo con Siae, la Società Italiana degli Autori ed Editori, annunciando che avrebbe rimosso la musica presente nelle library sui social di Mark Zuckerberg, con conseguenze su reel, stories e video sia su Instagram sia su Facebook, dove i contenuti tutelati da Siae sono stati silenziati. L’alternativa proposta agli utenti da Menlo Park è stata quella di proporre la sostituzione dei brani presenti nel catalogo Siae con altri brani presenti sulla piattaforma, prevalentemente di autori esteri non tutelati da Siae. Ma lo stesso vale per gli autori esteri che in Italia sono tutelati – seppur in minima percentuale – da Siae. In sostanza, anche molti artisti e autori non italiani, i cui diritti autoriali sono tutelati in Italia da Siae per conto loro, non sono più disponibili nei cataloghi italiani di Meta. La situazione è in totale stallo e non sembra destinata a migliorare nel breve periodo, per quanto Siae speri di poter riuscire a riaprire i tavoli delle contrattazioni. Open ne ha parlato con il direttore generale Matteo Fedeli.
Rispetto a una settimana fa, qual è la situazione oggi nelle trattative tra Siae e Meta? Ci sono stati passi avanti?
«No, siamo rimasti a un comunicato stampa di Meta arrivato giovedì scorso, nel quale ci dicevano che stavano per rimuovere tutti i contenuti dalle loro piattaforme. Con quell’azione si è interrotta, di fatto, la trattativa che stavamo portando avanti».
La licenza per l’uso dei contenuti Siae è scaduta l’1 gennaio 2023. Da quanto tempo erano in corso le trattative per il rinnovo?
«La licenza era scaduta a dicembre 2022, e le trattative erano in corso dall’ultimo trimestre del 2022, in modo da poter dare continuità alla licenza precedente».
Ci può spiegare come si sono svolte le trattative e quando si sono interrotte?
«Usiamo una metafora, per semplificare. La negoziazione è comparabile a quella di un musicista che va a esibirsi in un locale. Il gestore dice che lo può fare per 20, mentre il musicista chiede 100, altrimenti non riesce neanche a pagare la benzina per presentarsi al locale e la strumentazione. Allora entrambe le parti iniziano a contrattare: chi al rialzo, chi al ribasso e si raggiunge un punto d’intesa. Ma a un certo punto della scorsa settimana Meta ha detto: “Te ne do 30 (numero di fantasia, ndr) altrimenti tiro giù tutti i contenuti da voi tutelati dalle nostre piattaforme”».
Con le altre piattaforme come sono andate le contrattazioni per il rinnovo della licenza?
«Con YouTube, Spotify e altre piattaforme si è trovato un punto di incontro a metà strada, a seconda della casistica. Nel caso di Meta, invece, è stata coinvolta l’opinione pubblica. E, ancor peggio, gli utilizzatori finali, perché quanto accaduto è un danno per tutti, non solo per gli artisti o per l’industria discografica. Paradossalmente potrebbe essere un danno anche per Meta stessa, perché magari gli utenti potrebbero andare a cercare le stesse funzioni su altre piattaforme. Con la mossa della scorsa settimana, hanno portato la trattativa a un livello di scontro».
Meta ha bloccato la contrattazione unilateralmente senza preavviso?
«Nella negoziazione possono capitare momenti di stallo, ma sostanzialmente nel corso dell’ultima contrattazione l’azienda ha fatto un’offerta “take it or leave it”: o ti prendi questi soldi oppure rimuovo tutti i contenuti dalle piattaforme. E così è stato, senza nessun preavviso, né a noi, né nei confronti degli artisti, tantomeno delle case discografiche e degli utenti stessi della piattaforma».
Ci sono stati ulteriori contatti tra Siae e Meta dopo quel comunicato?
«Sostanzialmente no. Ci hanno fatto un’offerta prendere-o-lasciare per portarci sulla cifra decisa da loro. Ma se non lo abbiamo fatto è per tenere il punto a difesa degli autori».
Oltre al mancato accordo di natura economica, come Siae avete posto sul tavolo il problema della mancanza di condivisione dei dati, citati anche dal ministro della Cultura Sangiuliano alla Camera. Può spiegarci di cosa si tratta?
«La questione dati viene ancora prima dell’aspetto economico, perché i dati che stiamo chiedendo non sono nulla di irragionevole e sono previsti dalla direttiva Copyright europea, che chiarisce che – al fine di garantire una negoziazione commerciale – come quella in corso tra Meta e Siae, sussiste l’obbligo per le piattaforme a condividere informazioni di business su come girano i ricavi. Questo perché bisogna ricordare che Meta ha più piattaforme al suo interno (Facebook, Instagram, WhatsApp) e ognuna di queste offre al suo interno dei servizi diversi, che monetizzano in modi diversi.
Basti pensare anche solo a Instagram e a quante stories, reels, e video vengono pubblicati: non avere informazioni sui video con musica presenti sulla piattaforma rende difficile la contrattazione, perché per noi rischia di essere fatta su numeri non corretti. Abbiamo anche cercato di spiegare a Meta con quale metodo abbiamo calcolato la richiesta, ma non hanno voluto fornirci dati precisi. Così, senza dati reali, ma solo basandoci su stime e ipotesi, non siamo nella posizione né di abbassare (né eventualmente di
alzare) la nostra offerta».
Come si è arrivati alla rottura di una settimana fa?
«Ci hanno spiegato che c’erano delle limitazioni di budget dalla casa madre. Ma per noi non è accettabile che il valore del diritto d’autore in Italia lo stabilisca qualcuno che lavora a Menlo Park. Senza dati, senza numeri, non è neanche più una questione di fiducia, diventerebbe un atto di fede».
Malgrado ciò, i contenuti protetti da Siae al momento sono ancora presenti in diversi contenuti pubblicati sulle varie piattaforme del gruppo Meta, tipo i video di Instagram
«La rimozione ha riguardato le cosiddette library, in cui si potevano scegliere i brani da usare nei post o nei reels, ma i post già pubblicati, con musica o video musicali all’interno, sono ancora visibili. Quindi in Italia, come all’estero, sono comunque presenti sulle piattaforme Meta contenuti con musica protetta da Siae. E allora cos’hanno rimosso davvero? Gliel’abbiamo chiesto, anche per definire il futuro delle contrattazioni».
Se la licenza è scaduta nel dicembre 2022, Meta avrebbe quindi usato illegalmente i brani tutelati da Siae?
«Tecnicamente sì. Quella di Meta è sembrata più un’azione dimostrativa che puntava a metterci pressione per accettare l’accordo. Si è voluto creare un attrito che prima non esisteva portandolo su un livello mediatico che, a nostro avviso, non fa bene a entrambe le parti».
Gli artisti tutelati da Siae sono disponibili nelle library di altri Paesi che non siano l’Italia? Per esempio: nei giorni scorsi ricorreva l’anniversario della nascita di Franco Battiato. In Italia non è stato possibile utilizzare un suo brano per un reel o una storia, mentre all’estero sì, è corretto?
«Da quel che sappiamo, sì. Ma quello che stiamo osservando in questi giorni non sempre è in linea con le dichiarazioni di Meta. Se proviamo ora a cercare i brani dei Maneskin esce solo Somebody told me, che è una cover. E la domanda che ci poniamo è questa: perché non compare Beggin’, che è il brano più utilizzato nella storia dei Maneskin, e non è nel catalogo Siae? Meta ha detto di aver rimosso i brani Siae, e va bene. Ma ripeto: Beggin’ dei Maneskin non è nel catalogo Siae, e non compare comunque nella library degli utenti italiani su Meta. Com’è possibile? Dovrebbe esserci perché non è Siae, ma non c’è».
Secondo alcune voci questo mancato accordo favorirebbe altre piattaforme, come TikTok. Qual è la posizione di Siae in merito?
«Non dipende da noi, ma dal pubblico. Dipende dall’offerta di Meta, non di Siae. È chiaro che se le persone trovano piattaforme che hanno una maggiore offerta, come possono essere TikTok, YouTube, Spotify e altre, si spostano su quelle, ma questo non dipende da Siae. Noi siamo intermediari e non facciamo gli editori, non è nel nostro interesse. È Meta che con questa sua azione di rimozione sta in qualche modo modificando anche la possibile scelta editoriale dei propri utenti».
E per quanto riguarda gli artisti e la filiera musicale?
«Nel mondo discografico, non solo in Italia, abbiamo avuto molto supporto, perché il tema non è Siae contro Meta, ma è una questione di sistema. E il caso Siae potrebbe fare da caso pilota anche in altri Paesi. Questo perché, da un lato, è subentrata l’implementazione della direttiva Copyright, dall’altro c’è Meta che è in un periodo di riduzione dei costi. Però un conto è Meta che risparmia nel perimetro della propria azienda, un altro conto è che Meta voglia stabilire unilateralmente il valore del diritto d’autore della maggior parte degli artisti italiani».
Da parte del governo avete ricevuto riscontri?
«Abbiamo ricevuto un grande supporto, perché si è capito che non è una questione di Siae contro Meta, si tratta di soldi che derivano dal lavoro degli autori ed editori italiani. Noi abbiamo 100mila iscritti, di cui circa 85-87mila solo nel repertorio musicale: sono soldi di chi lavora e non finiscono in cassa a Siae, se non in una piccola percentuale. Il governo ha poi gli effetti culturali della mossa di Meta: si sono trasformati in editori nazionali, determinando il consumo culturale di una fetta del Paese».
Vi siete confrontati sul tema con altre realtà simili a Siae in altri Paesi?
«È questione di tempistiche. Dall’estero guardano con grande attenzione a quel che è accaduto in Italia. Il perimetro da tenere in considerazione è quello dell’Unione Europea, dove vale la direttiva Copyright. Che Meta dica di aver chiuso accordi con Paesi extra Ue ha poco significato concreto per noi, perché non si applica la stessa direttiva europea, e di conseguenza le contrattazioni avvengono in modo diverso. In assenza di dati, come prevede la direttiva Copyright, è davvero difficile contrattare.
Un soggetto come Siae, che veniva considerato come Golia, rischia di diventare Davide, se trasliamo la questione su scala transnazionale: la frammentazione a livello europeo non aiuta. Come ci ha dimostrato la direttiva Copyright, bisogna essere davvero uniti per confrontarsi con realtà come Meta. Più continuano a essere reticenti sulle informazioni e sui dati, più si corre il rischio che in Europa accada lo stesso ad altri soggetti. E quanto successo in Italia nell’arco di 24 ore si spera che non accada in altri Paesi, sia nel rispetto del lavoro degli artisti sia nel rispetto degli utenti».
Qual è l’auspicio di Siae?
«Anche se il clima è certamente peggiorato dopo l’azione unilaterale di Meta, speriamo che si riaprano le trattative con maggiore chiarezza e nel rispetto della direttiva Copyright, per valorizzare il lavoro degli autori e la cultura italiana».
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