Gli attori italiani all’attacco di Netflix, parte la causa sugli stipendi: «Ci paga poco e tace sulle visualizzazioni»
Dopo mesi di richieste e trattative per compensi «equi e proporzionati», gli attori italiani della società Artisti 7607 hanno deciso di fare causa contro Netflix al Tribunale di Roma. Neri Marcoré, Elio Germano, Michele Riondino, Claudio Santamaria, Alberto Molinari, Carmen Giardina si espongono contro il colosso della televisione in streaming in protesta contro compensi totalmente «inadeguati rispetto ai film e alle fiction che trasmette». Artisti 7607 pensa che Netflix «butti la palla in tribuna»: al centro delle accuse la non condivisione da parte della società delle informazioni riguardo a quante persone guardino un film, una serie o una fiction sia in Italia che all’estero e delle cifre che riesce a guadagnare sui singoli progetti. Omissione che permetterebbe a Netflix «di versare alle attrici e agli attori cifre del tutto risibili». A spiegare nel dettaglio le motivazioni della causa la presidente di Artisti 7607 Cinzia Mascoli: «La causa è l’inevitabile conseguenza di lunghe trattative nel corso delle quali la piattaforma non ha ottemperato agli obblighi di legge; non ha fornito dati completi sulle visualizzazioni; e i ricavi conseguiti in diverse annualità». La presidente fa riferimento anche «ad opere di grande successo», casi in cui gli artisti «si vedono corrispondere cifre insignificanti e totalmente slegate dai reali ricavi». E ancora: «Per questo, ci aspettiamo sostegno e vigilanza da parte delle istituzioni per tutelare i nostri diritti. Le norme oggi ci sono: bisogna solo farle rispettare», chiarisce Mascoli. Interpellata sulla vicenda Netflix ha ribadito gli accordi ufficiali firmati con diverse società che rappresentano gli attori. «Accordi che hanno preso forma sia in Italia che all’estero. Un’intesa è stata raggiunta con il Nuovo Imaie, che pure rappresenta tanti artisti, addirittura il 75-80% degli attori». L’Italia attualmente ha tre società che rappresentano attori e creativi. Circostanza secondo la piattaforma che non avrebbe favorito il dialogo, «anche per la difficoltà di misurare l’effettiva rappresentatività delle diverse società e di individuare il repertorio che tutelano».
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