Proteste in Francia, Marc Lazar: «Macron ha deluso il Paese, ora ha davanti quattro anni di tormenti» – L’intervista
Il municipio di Bordeaux in fiamme, Parigi invasa dalla spazzatura, porti, stazioni e aeroporti bloccati ai quattro angoli del Paese, il Re d’Inghilterra costretto a rinunciare alla visita. La Francia torna a bruciare – materialmente e politicamente – a quattro anni dall’incendio sociale acceso dai Gilet Gialli, ancora una volta su una questione ad alto impatto socio-economico: l’innalzamento dell’età pensionabile. E la traiettoria politica di Emmanuel Macron, a meno di un anno dal suo reinsediamento all’Eliseo, pare segnata. Lo conferma a Open uno dei più autorevoli politologi francesi, Marc Lazar, a Milano per l’apertura del nuovo ciclo di iniziative della Fondazione Feltrinelli, Stagione Scomposta. Ospite d’onore: l’ex presidente francese François Hollande, che conversando con gli storici a raduno da tutta Europa non nega qualche puntura di spillo al suo successore all’Eliseo né un motto di spirito («forse mi hanno invitato qui per salvarmi») ma a microfoni aperti glissa sulla crisi che s’è lasciato alle spalle («parlerò presto in Francia», preannuncia sorridente a Open). Parla ben più liberamente, invece, Lazar, grande conoscitore della politica tanto francese quanto italiana, che all’inizio dell’avventura politica dell’enfant prodige centrista aprì a Macron un notevole credito di fiducia. Che ora però, dopo l’«atto di forza politico» deciso la scorsa settimana con l’attivazione del contestatissimo articolo 49.3, pare fatalmente esauritosi, come per oltre due terzi dei francesi.
Riformare le pensioni in Francia è impossibile o è Macron ad aver imboccato la strada sbagliata, gettando al vento l’opportunità riformista del suo secondo e ultimo mandato?
Riformare le pensioni in Francia è difficile, non c’è dubbio. Un dato di fatto figlio della storia del Paese: dal 1980 i francesi hanno dato per acquisito di poter andare in pensione a 60 anni, poi l’età è stata elevata a 62. I diritti sociali sono e restano un tema altamente sensibile nel Paese. Ciò detto, Macron ha sbagliato metodo. Ha pensato di poter evitare il conflitto imponendo dall’alto la sua riforma, con un metodo del tutto legale, poiché è previsto dalla Costituzione, ma che ha il significato di un atto di forza politico. Sappiamo com’è andata a finire: i cittadini si sono ribellati. Quasi il 70% degli elettori ora ritiene che quella di Macron sia stata una scelta in spregio della democrazia.
Resta il fatto che il suo provvedimento-bandiera ora è legge. Almeno fino a prova contraria. La storia della riforma delle pensioni è finita o ci potrebbero essere altre sorprese?
Ora ci sarà il passaggio della legge al Conseil Constitutionnel (l’equivalente della Corte costituzionale, ndr), che entro il 20 aprile dovrà esprimersi sui ricorsi presentati dalle opposizioni contro il progetto di legge. Quindi, se la Corte non riterrà infondata la relativa richiesta, potrebbe aprirsi la strada del referendum popolare. È una sfida complicata. Dopo essere stata presentata da ben oltre la soglia minima di 185 tra deputati e senatori (un quinto del corpo parlamentare) la richiesta di référendum d’initiative partagée dovrebbe essere sottoscritta nell’arco di nove mesi da un decimo degli elettori, oltre 4,8 milioni di cittadini francesi. È una strada tentata sei volte in passato nella storia del Paese e che non ha mai avuto successo. Ma a questo punto non si possono escludere sorprese.
A meno di un anno dal suo reinsediamento il quinquennato di Macron è politicamente finito?
Macron non ha una maggioranza in Parlamento. Il suo piano sarebbe quello di tentare di far procedere altri progetti di riforma contando sul sostegno dei Repubblicani di centrodestra, che sono però all’interno estremamente divisi, come è emerso plasticamente nel voto sulla mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni. Da qui in poi per lui sarà tutto molto, molto difficile.
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