La crisi delle vocazioni minaccia la birra trappista: sempre meno monaci disposti a produrla
«Autentico prodotto trappista»: questa è l’etichetta, sinonimo di garanzia, che – secondo quanto stabilito dall’International Trappist Association – contraddistingue le birre prodotte all’interno di un’abbazia, sotto la supervisione di monaci (o eventualmente di suore). I cui ricavati sono da destinare al mantenimento della comunità religiosa, all’ordine dei monaci trappisti o a associazioni di beneficenza. La birra prodotta dai monaci trappisti delle Fiandre, nel Belgio settentrionale, e apprezzata in molti alti Paesi europei (tra cui l’Italia), è il frutto di una tradizione centenaria. Che potrebbe, però, interrompersi presto. Questo a causa della crisi delle vocazioni: come spiega Repubblica, la crescente scarsità di giovani disposti ad affrontare la vita monastica sta mettendo in crisi anche la produzione della bevanda alcolica.
Lo stabilimento Achel
Un caso emblematico riguarda lo stabilimento che produceva la Achel, ceduto a imprenditori privati nel 2021. Al momento, in tutto il Belgio sopravvivono soltanto cinque monasteri produttori di birra. Il più antico di loro è quello di Westmalle. Il cui priore, padre Benedetto, ha spiegato: «La società di oggi offre scarse motivazioni a chi vuole diventare un monaco. La vita religiosa non viene più considerata significativa, è vista come misteriosa, con una connotazione negativa». «Anche se – aggiunge – è molto più affascinante di quanto si possa sospettare». I lati più evidenti sono però quelli di una vita di estremo rigore: sveglia alle 3:45 e poi pregheria, lavoro, eucarestia. Tutti a letto alle 8. Un’«ora et labora» che non confligge con la produzione della birra trappista, proprio in virtù del principio del no profit, che rende la realizzazione della bevanda il frutto di passione anziché del desiderio di arricchimento personale.
I lavoratori laici
Sebbene venga ammesso un certo numero di lavoratori laici, la presenza dei frati non può essere secondaria. Per ovviare alla crisi delle vocazioni, puntualizza Repubblica, una strada potrebbe essere quella di fare più affidamento sui frati dei monasteri trappisti in Africa, Asia e America del Sud, dove l’ordine è in crescita anziché in declino. L’esperta di birra belga Sofie Vanrafelghem ha spiegato che «è perfettamente ammissibile che monaci trappisti di altre parti del mondo si trasferiscano in Belgio, facendone diventare le abbazie trappiste più multiculturali e tenendo in vita i birrifici al loro interno». Forse questa è l’unica via percorribile per non far morire la tradizione.
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