La polpetta di carne di mammut che in Italia potrebbe essere vietata: come è stata creata
La compagnia australiana Vow ha prodotto una polpetta di carne di mammut coltivata in laboratorio. Usando lo stesso procedimento che viene adoperato per creare la carne sintetica di pollo, bovino e maiale, contro cui però il governo Meloni ha preparato delle previste nella bozza del nuovo decreto bollette per vietare la vendita, la produzione, l’importazione, la distribuzione e la somministrazione di alimenti «isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati». Esattamente quello che fa Vow, che però offre nel proprio catalogo anche carni più particolari, come alpaca, bufalo, coccodrillo, canguro, pavone, e quella di diverse specie ittiche. Tutte prodotte senza che un solo animale debba essere macellato. La prima carne creata in laboratorio ad essere venduta al pubblico sarà la quaglia giapponese, che entro la fine dell’anno dovrebbe fare la sua comparsa nei ristoranti di Singapore.
Polpetta di mammut: si fa così
Il processo di produzione di questo alimento è stato perfezionato nel corso del tempo, con un lavoro di ricerca che è durato anni. Eppure, la descrizione il Ceo della compagnia George Peppou dà al Guardian è estremamente semplice e lineare: «Cerchiamo cellule che siano facili da far crescere, che siano nutrienti e di buon sapore. A quel punto le incrociamo finché non otteniamo il gusto desiderato». La sequenza genetica del mammut è stata impiantata in cellule provenienti da una pecora. L’idea, spiegano i creatori, era quella di creare carne di Dodo, ma dell’uccello non è stato possibile recuperare la sequenza genetica. Curiosi di assaggiarla? Per ora meglio di no. «Stiamo parlando di una proteina che non si vede in giro da migliaia di anni, quindi non abbiamo idea di come il corpo umano potrebbe reagire. Ma dopo il primo tentativo possiamo sicuramente adattare la carne di mammut per renderla più digeribile», spiega Vow.
La sostenibilità della carne coltivata
Il mammut è un simbolo della «perdita di biodiversità e del cambiamento climatico», spiega il cofondatore Tim Noakesmith. E aggiunge: «Si ritiene che sia stata la caccia da parte degli esseri umani a far estinguere l’animale, coadiuvata dal riscaldamento della Terra in seguito all’era glaciale». «Dobbiamo ripensare la maniera in cui mangiamo. Dobbiamo trovare delle alternative alla carne», aggiunge Noakesmith, pragmatico. «E il modo migliore di farlo è inventare un nuovo tipo di carne». L’industria della carne è responsabile del 57% delle emissioni dell’industria alimentare. Ogni anno 30 mila chilometri quadrati di foresta pluviale brasiliana vengono rasi al suolo, spesso per fare spazio ad allevamenti di bovini, o colture destinate a diventare mangime. La carne coltivata usa molta meno terra e acqua rispetto agli allevamenti, e non produce emissioni di metano, che nel breve periodo è 28 volte più potente della CO2 nello scaldare il pianeta. La compagnia, inoltre, assicura di non usare il siero fetale bovino, come accade in altri casi nello stesso ambito.
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