Hikikomori, chi sono i 44 mila ragazzi che vivono chiusi in una stanza – Il rapporto del Cnr
Sono circa 44mila i ragazzi a livello nazionale (1,7% degli studenti totali) che si possono definire Hikikomori, mentre 67mila (2,6%) sono a rischio grave di diventarlo. Lo rivela il primo studio italiano sul fenomeno, redatto dal Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche) per fornire una stima quantitativa dell’isolamento volontario nella popolazione adolescente. La ricerca sui cosiddetti «ritirati sociali» – questa la traduzione dal termine giapponese che indica la tendenza di smettere di uscire di casa e chiudersi nelle proprie stanze mantenendo i contatti prevalentemente attraverso Internet – ha coinvolto un campione di oltre 12mila studenti rappresentativo della popolazione studentesca italiana fra i 15 e i 19 anni.
L’età a rischio e le cause
«Il 18,7% degli intervistati – spiega la ricercatrice del Cnr-Ifc, Sabrina Molinaro – afferma di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e di questi l’8,2% non è uscito per un tempo da 1 a 6 mesi e oltre: in quest’area si collocano sia le situazioni più gravi (oltre 6 mesi di chiusura), sia quelle a maggiore rischio (da 3 a 6 mesi)». L’età maggiormente a rischio va dai 15 ai 17 anni. I maschi, più propensi al gaming online, sono la maggioranza fra i ritirati effettivi, mentre le femmine si attribuiscono più facilmente la definizione di Hikikomori. Fra le cause, si legge nel rapporto, assume un peso determinante il senso di inadeguatezza rispetto ai compagni. «L’aver subito episodi di bullismo, contrariamente a quanto si possa ritenere, non è fra le ragioni più frequenti della scelta. Mentre si evince una fatica diffusa nei rapporti coi coetanei, caratterizzati da frustrazione e auto-svalutazione», aggiunge Sonia Cerrai. Uscire da questa situazione, però, richiede necessariamente l’appoggio dei genitori, nonostante – spiega il Cnr – «più di un intervistato su 4, fra coloro che si definiscono ritirati, dichiara che i genitori avrebbero accettato la cosa apparentemente senza porsi domande. Il dato è simile quando si parla degli insegnanti».
Le testimonianze
Ma cosa spinge un giovane a fuggire “dal mondo” e chiudersi nella propria stanza? È (forse) difficile ridurre la complessiva e provare a rispondere a questa domanda. Michele, un adolescente citato da La Stampa, una risposta vera e propria non l’ha trovata. Né i suoi genitori, neppure lo psicologo dal quale va (a fatica). Ha smesso di frequentare le lezioni, di andare in classe e incontrare i suoi compagni di terza superiore. Lo sguardo degli altri era diventato insostenibile – scrive il quotidiano di Torino – e l’unica possibilità di sopravvivenza era tornare nella sua stanza e allontanarsi dal “resto del mondo”. L’unico conforto? Le chat di Twitch e il gaming online. La giornate sembrano scorrere senza apparenti obiettivi. Lo stesso vale per Anna: in seguito a un ricovero ospedaliero per una polmonite in terza media, la giovane non è più tornata in aula. Non esce più di casa, se non per accompagnare sua madre. Gli unici momenti che racconta come “positivi” a La Stampa sono quelli condivisi con il suo cane e ad alcune amiche conosciute online. Entrambi, Anna e Michele, si liberano dalle loro gabbie solo quando al Gruppo Abele scoprono di non essere gli unici a fuggire dal mondo.
La psicologa
Per la psicologa Milena Primavera esistono dei comuni denominatori in questo atteggiamento di chiusura: «si tratta di una sorta di “resa” – dice al quotidiano – di rinuncia ai rapporti umani (salvo quelli mediati dalla tecnologia). I giovani che si isolano tendono a non reggere lo sguardo del mondo su di sé». Tuttavia, oltre alla condizione di “ritiro sociale”, i giovani devono far fronte anche alla «sofferenza psichica che si esprime con psicopatologie: depressione, disturbi alimentari, ansia», conclude.
Leggi anche:
- Cibo, videogiochi e social: l’allarme Iss sulle dipendenze per 2 milioni di adolescenti
- Disturbi alimentari, istinti suicidi e dipendenze: la prima ricerca Iss sugli effetti della pandemia tra i giovani
- Salute mentale, il consumo di antidepressivi cresciuto del 10% in 5 anni. Nelle Regioni arriva lo psicologo di base in attesa di una norma nazionale