Stop alla carne sintetica? «La scelta del governo Meloni rischia di bloccare la ricerca» – L’intervista
Soluzione ai problemi etici e ambientali posti dagli allevamenti, o pericolo per la salute di chi la consuma? Il dibattito intorno alla carne sintetica si sta scaldando sempre di più nelle ultime ore. Il governo ieri ha deciso che nel nostro Paese non deve più essere consentito produrre e vendere cibi prodotti in laboratorio a partire da cellule animali. L’esecutivo giustifica la scelta difendendo le tradizioni del sano mangiare italico e sostenendo che queste carni possano presentare dei rischi per la salute di chi le consuma e che non vi sarebbero vantaggi ambientali nel preferirle a quelle allevate. Per capire quanto c’è di vero dietro queste giustificazioni, Open ha parlato con Luigi De Nardo, fondatore del corso di laurea magistrale in Food Engineering del Politecnico di Milano.
«Carne sintetica? Meglio carne coltivata»
Perché c’è così tanto timore intorno alla carne in vitro? Secondo un’indagine di Coldiretti, che plaude al governo per la scelta, l’84% degli italiani ha qualche tipo di diffidenza nei confronti di questo prodotto. «Ci si vuole nascondere dal fatto che non si riesce a comprendere a pieno che la complessità di alcuni ritrovati può aprire a possibilità innovative», commenta De Nardo, che dice la sua anche riguardo il nome scelto nelle comunicazioni dell’esecutivo, definito «volutamente erroneo» dall’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa). «La chiamerei carne coltivata come facciamo da anni noi ricercatori» spiega De Nardo, che aggiunge: «La tecnica usata per produrla è nata inizialmente per la rigenerazione dei tessuti umani. È la stessa che si usa per ricostruire la pelle di chi subisce grandi ustioni». Chissà se il governo vieterà anche quella.
«La decisione del governo rischia di bloccare la ricerca»
Una provocazione, chiaro, ma il rischio che la mossa dell’esecutivo rallenti la ricerca, secondo De Nardo, c’è. Impedire la vendita e la produzione non vieta esplicitamente la ricerca, ma «la rende un ambito meno appetibile per i grandi fondi di finanziamento, che vedono le future possibilità di guadagno ridursi drasticamente», commenta l’esperto. Che rincara la dose: «Siamo di fronte a un’innovazione tecnologica che può avere – positivamente – un impatto economico, e ambientale, oltre a risolvere un problema di disponibilità». Quella del governo «è una scelta che ci porta fuori dai circuiti tecnologici. Molte aziende si stanno spostando verso questo ambito a causa delle grandi opportunità. Noi, invece come Paese tardiamo a innovare in un settore che ci ha visti leader» aggiunge duro De Nardo.
I prodotti sintetici sono già nella nostra alimentazione
L’Italia è un Paese chemofobico, dove naturale è sinonimo di sano e sintetico di pericoloso. Ma De Nardo assicura: «Per essere commercializzatala carne coltivata deve passare dai rigidi controlli dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) di Parma, seguendo un percorso che dura 18 mesi. Sarà l’Efsa, sulla base delle pubblicazioni scientifiche in materia, a determinare se esistono rischi per la salute». Ad ogni modo, non si tratterebbe di certo del primo prodotto sintetico autorizzato per l’alimentazione umana. A contenerne uno è quello che forse al momento è il prodotto culinario italiano più in voga: lo spritz. Dal 2006, il classico colore rosso del Campari non viene più ottenuto dalle cocciniglie, bensì da un colorante sintetico. Lo stesso vale per l’Aperol. Altro prodotto emblematico del successo dell’industria alimentare italiana, che negli ultimi anni non si è certo interrotto.
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