Spese, bandi, lavoratori: tutti i ritardi del Pnrr. «Ma il piano dell’Ue è irrealizzabile»
Il primo obiettivo è ottenere il via libera alla seconda rata del 2022. Poi il governo Meloni cercherà di ottenere più tempo: due mesi per una completa revisione del Recovery Plan. Possibilmente, senza addossare le responsabilità al governo precedente. Perché c’è il rischio che Mario Draghi si arrabbi. Il feeling tra l’Unione Europea e Giorgia Meloni non sembra ancora scoppiato. Anche se i suoi elettori mostrano di avere una fiducia crescente in Bruxelles. La relazione sul Pnrr arriverà ad aprile insieme al Documento di Economia e Finanza. Ma l’obiettivo dell’esecutivo è ambizioso: travasare i progetti più a rischio nei Fondi di Coesione. In modo da liberare risorse per «RepowerEu». Ma intanto c’è chi lancia grida d’allarme. Come Carlo Luzzatto, ad dell’impresa di costruzioni Pizzarotti. Per il quale il piano è semplicemente «irrealizzabile».
Gli obiettivi e il governo
Con ordine. Come ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, quella del Pnrr è la madre di tutte le battaglie. La spesa del piano per la ripresa dopo la pandemia è ferma. La tranche del secondo semestre dell’anno scorso vede ancora fondi non impegnati. Il ritardo maggiore è ascrivibile al ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini. Per questo ci sono 19 miliardi in bilico. Bruxelles e Roma, fa sapere Repubblica, hanno concordato una seconda proroga di un mese per fare il punto. La Commissione Europea attende che il governo Meloni faccia i compiti a casa. Ma il problema è anche di prospettiva. Il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto ha ammesso che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 «non sono realizzabili». Mentre rispettare i tempi sulle riforme è semplice perché basta un intervento legislativo, è il ragionamento (che evidentemente non tocca i balneari), aprire i cantieri è più complicato. Ma l’Italia ci deve riuscire. Perché altrimenti poi sarebbe difficile chiedere altre risorse.
Gli ostacoli che frenano il Pnrr
Il Sole 24 Ore oggi riepiloga gli ostacoli che frenano il Pnrr. Dieci punti per dieci dossier su cui il governo si deve impegnare il prima possibile. Ovvero:
- l’attuazione finanziaria: i numeri della Corte dei Conti sono impietosi, l’Italia ha speso 23 miliardi dei 120 di dotazione. Ma c’è di più: tolti i crediti d’imposta, il livello di spesa scende a 10 miliardi;
- la selezione e i bandi: i ritardi ci sono negli asili nido e nelle scuole d’infanzia, e poi dalla scarsità di progetti dai comuni del Sud;
- le semplificazioni: il governo ha varato il nuovo Codice degli Appalti Pubblici, ma le semplificazioni chiedono di estendere il meccanismo a tutti i fondi del Pnrr;
- il personale, i concorsi, le rinunce: qui c’è un problema di partenza piuttosto difficile da superare, che riguarda i contratti a tempo determinato e i compensi troppo bassi;
- i prezzi: l’inflazione ha cambiato di molto la spesa per le materie prime; naturalmente il tutto si riverbera su appalti e cantieri.
Accanto ai problemi strutturali ci sono poi quelli tecnici. Come per esempio:
- il problema degli anticipi: le imprese che si aggiudicano gli appalti possono chiedere anticipi fino al 30% per la realizzazione delle opere, ma gli acconti del Mef si limitano al 10%; questo crea un problema di liquidità alle aziende;
- il sistema Regis: si tratta del cervellone elettronico che dovrebbe monitorare lo stato d’attuazione del Pnrr, ma il problema è che ciascun ministero ha il suo metodo e tutto è ancora da armonizzare;
- la governance: si tratta di un problema che in teoria è risolto con la regia a Palazzo Chigi e l’architettura tecnica al ministero dell’Economia; anche qui però l’attuazione è più difficile dell’annuncio;
- le riforme e i problemi con la Ue: le battaglie del governo sui balneari non aiutano la concordia con l’Unione Europea;
- il problema politico: sta sorgendo perché il governo continua a spingere su altri dossier (l’immigrazione). E va a saldarsi con l’ostilità dei nordici nei confronti dei latini.
Il Pnrr irrealizzabile
E qui si innesta il problema dell’irrealizzabilità di alcuni punti del Piano. Ne parla oggi l’ad di Pizzarotti Luzzatto con La Stampa. «Guardi che tutti sapevano che quei 200 miliardi da spendere erano fuori portata per l’Italia. Lo sapevano fin dall’inizio Conte, Gentiloni e lo stesso Draghi. Ciò non toglie che sia stato giusto cercare di portare a casa più risorse possibile E che si tratti di una sfida senza precedenti davanti alla quale non dobbiamo arrenderci, ma trovare una soluzione». Per Luzzatto «il problema delle stazioni appaltanti e della macchina dello Stato è enorme, ma anche per le imprese la sfida è insostenibile a queste condizioni e con queste scadenze». Per lui però «la Commissione deve semplicemente rendersi conto che così com’è il piano non può funzionare, al di là di tutti i problemi che l’Italia certamente ha, e che però è un’occasione storica da non sprecare. Il governo deve presentarsi con proposte il più possibile credibili per allungare i tempi o spostare le risorse subito sulle opere effettivamente realizzabili».
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