La Banca di Italia predica la parità di genere, ma non la pratica. Nel 2022 è tornata ad aumentare il personale, ma il 75% degli assunti sono uomini
Dopo anni di riduzione degli organici la Banca di Italia è tornata ad assumere, e l’organico è cresciuto da 6.629 a 6.840 dipendenti (+211). I nuovi entrati però sono in maggioranza schiacciante uomini (75%), che hanno aumentato di un punto il gender gap già esistente, facendo passare dal 62 al 63% i dipendenti maschi ad ogni livello. Lo squilibrio è aumentato anche nell’area manageriale, dove l’organico secondo i dati contenuti nel bilancio 2022 presentato dal governatore Ignazio Visco all’assemblea del 31 marzo è cresciuto di 75 uomini e 42 donne. A livelli apicali la situazione è ancora più squilibrata: nel direttorio presieduto da Visco che governa la banca centrale italiana ci sono 4 uomini e una donna (Alessandra Perrazzelli, con qualifica da vicedirettrice generale). Subito sotto quel livello ci sono 13 funzionari generali, e di questi 12 sono uomini e un solo dipartimento è guidato da una donna: quello per la tutela della clientela e l’educazione finanziaria, dove a capo c’è Magda Bianco. Ricomprendendo nell’elenco anche i direttori centrali i posti guidati da donne sono il 22% del totale.
Eppure è proprio la Banca di Italia a vigilare sul gender gap del settore e sulla applicazione delle quote rosa di legge nei consigli di amministrazione degli istituti di credito quotati e non quotati. Sforna numerose analisi e pubblicazioni sul tema, predicando assai bene sulla importanza del ruolo della donna e la parità di genere anche a livelli apicali. Una battaglia che in pubblico ha fatto sua lo stesso governatore Visco. Che tre anni fa a un convegno sul gender gap spiegò: “Per l’Italia la crescita potenziale prevista per i prossimi anni dipende fortemente dalle ipotesi circa la partecipazione femminile, che ne risulta essere un motore fondamentale. Le donne, infatti, hanno livelli d’istruzione elevati e posseggono competenze e abilità, quali quelle riguardanti le relazioni interpersonali e la comunicazione, che nel mondo del lavoro di oggi sono considerate cruciali. Non avvantaggiarsene rappresenta per la nostra economia una grave inefficienza; nei prossimi anni, infatti, i settori meno caratterizzati da lavori ad alta intensità fisica rappresenteranno una quota sempre più alta dell’attività produttiva”. Prediche inutili, avrebbe detto il suo predecessore Luigi Einaudi. Tanto più se in casa propria la pratica si razzola in tutt’altro modo.
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