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I giganti non esistono (e queste foto non dimostrano il contrario)

Svariati post su Facebook hanno alimentato la fantasiosa tesi, basandosi però su immagini false o provenienti da un contesto diverso

I giganti, secondo alcuni utenti, esistono. O meglio, esistevano: lo testimoniano scheletri e teschi dalle proporzioni abnormi che sarebbero stati reperiti ed esposti in diverse parti del mondo. Svariate foto documentano la presunta scoperta: vediamo perché l’esistenza dei giganti, però, rimane ancora poco più che una favola.

Per chi ha fretta:

  • Diverse immagini sono state condivise su Facebook come presunta testimonianza di un’epoca in cui il mondo era abitato dai giganti
  • In realtà, nessuna di esse poggia su fatti reali
  • Alcune sono il frutto di un’alterazione digitale, altre fanno parte di progetti grafici, altre ancora di esibizioni artistiche

Analisi

Questa didascalia è stata condivisa su Facebook, in accompagnamento a due foto che ritraggono un teschio gigante. Troneggia in mezzo alle rocce, e sembra grande quasi quando l’intero corpo dei due uomini che posano al suo fianco.

«Clamorosi scatti da Bogotà. Sembra, ma stavolta gli scettici dovranno stare zitti. La spedizione del professor Miguel Alvarez ha inviato a un corrispondente della Reuters le prime fotografie di scheletri scoperti di giganti – anti-civiltà delle persone che abitavano la Terra prima della divisione della terraferma. L’analisi mitocondriale del DNA ha mostrato che le sequenze genetiche dei giganti hanno più somiglianze con gli esseri umani moderni che con gli scimpanzé. Se uno studio dei campioni inviati da Alvarez a diverse più importanti università europee producesse un risultato simile, la teoria di Darwin potrebbe essere confutata. (Servizio stampa del Parco Nazionale Simon Bolivar) Non poteva esistere l’esistenza di tale crescita, si spiegava molti anni fa. Problema di forza ossea e sistema sanguigno. Ma la gente continua ancora a credere a queste stronzate. Grazie mille all’autore di contenuti digitali Nik Kudela per le foto».

Sebbene sarebbe bello tenere aperta questa porta sul fantastico, i teschi non sono reali. E per stabilirlo basta risalire alla loro condivisione originaria, come hanno fatto i colleghi di Facta. Le foto sono state pubblicate il 19 marzo 2023 da una pagina che si chiama Nick Art, con la didascalia: «Molto tempo fa, c’erano giganti alti 6 metri e vivevano pacificamente nelle comunità. Erano abili costruttori e intagliatori, ma alla fine scomparvero per motivi sconosciuti».

Peccato che si tratti del profilo di un artista che crea immagini alterate digitalmente, come spiega lui stesso: «Principalmente cerco solo di convertire le mie idee folli in un’opera d’arte digitale perché me ne sono innamorato». Sulla sua pagina, possiamo imbatterci in foto di strane creature rettiliane, nella versione scheletrica di Papa Francesco, nelle presunte ossa di alieni e in altri altri deliri grafici.

Il presunto scavo

Quelle appena esaminate non sono le uniche immagini che circolano sui social a proposito della presunta esistenza di giganti, filone che anzi sembra essere molto apprezzato dagli utenti. Lo scorso 16 marzo, per esempio, è comparsa un’altra immagine ritraente un teschio dalle proporzioni abnormi che emerge dal terreno, accompagnata dalla seguente didascalia:

«Sembra il teschio di un gigante vissuto circa 5000 anni fa. La verità più esplicita della nostra civiltà è stata a lungo rivelata sul leggendario canale Expeditioner. Letteralmente in 30 secondi rimarrai scioccato da tutto ciò che vedi qui».

Anche in questo caso, però, non si tratta di una foto autentica. L’immagine, infatti, risulta creata il 14 agosto 2013 da un designer indiano (@PsycheM), attraverso un software di elaborazione grafica, in occasione di un concorso di creazioni digitali (‘Size Matters 8’). Sul suo profilo su DesignCrowd.com è possibile visionare altre creazioni dell’artista.

La misteriosa mostra

C’è un ultimo caso pertinente al tema, più ambiguo dei due appena citati. Riguarda la presunta scoperta di «un gigante alto circa 24 metri reperito a Napoli nel 1938». Questo è quanto si legge nel testo che accompagna tre foto. In esse vediamo un teschio, un osso e lo scheletro del palmo di una mano: hanno tutti proporzioni gigantesche.

«Nella Sala della Meridiana del Museo Archeologico di Napoli sono esposte le ossa umane di un uomo che si dice sia vissuto in “epoca preistorica” ​​e che misurano circa 24 metri di altezza. I dinosauri NON esistevano in questo livello, quindi forse i dinosauri sono persone di dimensioni gigantesche? Fu nel 1938 che i soci dell’archeologo Amedeo Maiuri scoprirono imponenti resti ossei associati a un teschio, un braccio e una coscia vicino al Tempio di Giove sull’Acropoli di Cuma, dove i Greci avevano costruito l’area sacra della città».

Attraverso una ricerca per immagini su Google, risaliamo al contesto originario delle foto: diversi articoli del 2015 menzionano infatti «Un gigante in mostra al confine tra vero e falso». Un pezzo del Sole24Ore, pubblicato l’8 febbraio di otto anni fa, spiega:

È al “più grande artista del mondo” che il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli dedicano la mostra della Brigataes appena inaugurata e che per la prima volte offre al pubblico la visione dei reperti antropologici e materiali di scavo provenienti da un presunto ritrovamento, avvenuto negli anni Trenta presso l’acropoli di Cuma, che documenterebbe l’esistenza di un artista di proporzioni gigantesche vissuto quarantamila anni fa.

La Brigataes racconta così la storia del ritrovamento e della riscoperta. “Nel 1938 gli operai dell’archeologo Amedeo Maiuri, durante gli scavi sulla sommità dell’acropoli cumana, scoprirono – sul fronte occidentale del cosiddetto Tempio di Giove – alcuni enormi frammenti ossei. Il famoso paleontologo Ralph von Koenigswald, già impegnato nella ricerca del Gigantopithecus, avvertito della scoperta si recò sul luogo aggregandosi ai ricercatori e riportando alla luce i reperti di cui disponiamo. Emersero dal terreno eccezionali resti scheletrici e una frazione di lastra in pietra con traccia di pittura rupestre che rivelava una forma simbolica sconosciuta a cui von Koenigswald, attento lettore di Joyce, diede il nome di Chaosmos. E proprio questo elemento dipinto, immediatamente associato alle dimensioni delle ossa della mano, portò lo studioso a ritenere la creatura appena ritrovata il più grande artista del mondo.Questi preziosi materiali erano pronti per l’allestimento di un’esposizione epocale che avrebbe dovuto tenersi nel museo napoletano nel 1939 e che non fu mai realizzata a causa delle vicende belliche. Vennero conservati e dimenticati per quasi un secolo fino alla recente riscoperta avvenuta in seguito all’inatteso rinvenimento – nel corso di una ricerca archivistica della Brigataes – di un faldone contenente la documentazione dello scavo e le indicazioni sulla loro collocazione in una sezione remota dei magazzini.”

Più che un «ritrovamento» (definito infatti «presunto») sembra di essere al cospetto di una mostra puramente artistica, al confine della realtà. In effetti, spiegano le riviste del settore come Exibart: «“Il più grande artista del mondo” è una manovra di sabotaggio della conoscenza che radica la sua azione nella profondità del senso, intervenendo già nell’opacità dei nomi. Infatti, non solo la posizione dell’aggettivo rende semanticamente ambiguo il titolo ma la stessa Brigataes, un po’ come Luther Blisset e Mama Sabot, è uno pseudonimo collettivo dietro il quale, dal 2001, agisce Aldo Elefante».

E ancora: «Nel caso specifico di questi reperti archeologici pantagruelicamente falsi, si è messa in crisi l’interpretazione degli eventi, non sempre consequenziale alla conoscenza dei fatti, perché la memoria individuale e quella collettiva, che modellano la tradizione della storia e della preistoria, si compenetrano fino a non poter discernere gli ambiti di pertinenza, le provenienze concettuali. In fondo, tra vero e falso i punti di contatto sono più evidenti di quelli di rottura». La Brigataes dunque è la sigla di «produzione estetica» alla quale si devono molti interventi urbani e istallazioni e video. Un collettivo che si interroga, spesso con ironia e gusto per il paradosso, sulla posizione dell’artista e sul significato dell’arte nella contemporaneità. Lo stesso nome «nasce dall’idea di confondere razionalità e irrazionalità, caos e disciplina, oltre ad essere assonante con una sigla destabilizzante». In questo caso, commentava il Giornale, «Brigataes ha da questo punto di vista ha realizzato veramente una cosa unica, un’opera d’arte e d’immaginazione che avrebbe fatto la gioia dei massimi inventori letterari di queste faccende».

Conclusioni

La teoria dell’esistenza dei giganti ha provato in diversi casi ad essere supportata da immagini. Le foto condivise su Facebook hanno alimentato la fantasia degli utenti, ma in nessun caso rappresentano una prova concreta dell’esistenza di questo mondo fantastico.

Questo articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false e la disinformazione nelle sue piattaforme social. Leggi qui per maggiori informazioni sulla nostra partnership con Facebook.

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