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Clima, Massimo Tavoni (Ipcc): «L’Italia doveva sostituire il gas russo con le rinnovabili, non con altro gas. Così la transizione rallenta» – L’intervista

Lo scienziato (tra gli autori dell'ultimo rapporto Onu sul clima) a Open: «Siamo uno dei Paesi Ue più a rischio, ma sulle politiche climatiche giochiamo solo in difesa»

I rischi sono noti, le soluzioni sono a portata di mano e il tempo a disposizione è poco. Lo scorso 20 marzo, l’Ipcc – il gruppo intergovernativo dell’Onu sui cambiamenti climatici – ha pubblicato il documento finale del suo sesto rapporto di sintesi. Una relazione lunga, complessa e articolata, che riassume lo stato della conoscenza del cambiamento climatico e i rischi che ne derivano. Il prossimo rapporto verrà pubblicato intorno al 2030, la stessa data entro cui l’Unione Europea si è impegnata a ridurre del 55% le proprie emissioni di CO2 (rispetto ai livelli del 1990). Ma a che punto è la transizione ecologica in Italia? «Su molti settori, a partire dell’energia, abbiamo ancora tanta strada da fare», risponde Massimo Tavoni, senior scientist del Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) e autore degli ultimi due rapporti pubblicati dall’Ipcc. «La siccità e le alluvioni dimostrano che l’Italia è uno dei Paesi europei più a rischio. Questo dovrebbe spingerci ad avere un ruolo proattivo sulle politiche climatiche, e non solo un ruolo difensivo», aggiunge Tavoni, che è anche professore di Economia del clima al Politecnico di Milano.

L’ultimo rapporto Ipcc, che lei ha contribuito a scrivere, suggerisce che siamo a uno snodo cruciale della lotta ai cambiamenti climatici. È così?

«Certamente. Le azioni da intraprendere da qui al 2030 sono fondamentali per riuscire a stabilizzare il clima anche negli anni a venire. Io però non insisterei sul messaggio catastrofico, perché sul lungo periodo rischia di perdere efficacia. L’ultimo rapporto Ipcc ci porta anche una notizia positiva: le soluzioni per mitigare gli effetti del cambiamento climatico ci sono e hanno un costo molto più ridotto rispetto a qualche anno fa».

Che ruolo gioca l’Italia nelle politiche climatiche?

«Il ruolo dell’Italia in sé è piuttosto modesto. Le politiche climatiche che dovrà attuare il nostro Paese sono quelle stabilite dall’Unione Europea, che rappresenta il 10% delle emissioni del pianeta. Il pacchetto europeo di misure per il clima messo a punto in questi anni è il più avanzato al mondo e fissa alcuni obiettivi molto chiari, in linea con i suggerimenti della scienza».

Parliamo proprio di obiettivi: l’Ue ha fissato come target al 2030 la riduzione del 55% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990. Ce la faremo? O abbiamo fissato l’asticella troppo in alto?

«È un target decisamente ambizioso, non dobbiamo nasconderlo. Occorre tenere presente però che le emissioni sono già scese del 25/30% rispetto ai livelli del 1990. In altre parole: metà del lavoro è già stato fatto. Raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030 è possibile e dipenderà in grossa parte dalle politiche climatiche. Il pacchetto Ue è ben costruito e ci mette sulla buona strada. Per sapere se ce la faremo o no occorrerà seguire passo per passo l’implementazione delle misure da parte dei governi».

E l’Italia?

«Ammetto di avere qualche preoccupazione su questo. L’attuale governo, e in parte anche i precedenti, danno la sensazione di volersi tirare indietro e non prendere sul serio gli obiettivi europei. Questo sarebbe un grande rischio. Siamo la terza economia europea e se perdiamo tutte le occasioni derivanti dalla trasformazione ecologica ed energetica avremo un danno non solo ambientale ma anche economico».

Eppure ci sono alcuni settori in cui il nostro Paese è all’avanguardia.

«Sulla filiera del riciclo siamo molto avanti rispetto agli altri Paesi europei. Anzi, la crescita del settore dimostra le opportunità che si nascondono nella transizione ecologica. Purtroppo, però, il riciclo non incide più di tanto sulle emissioni».

Quali sono i settori in cui dobbiamo accelerare?

«Innanzitutto, l’energia. Fino a una decina di anni fa eravamo tra i Paesi più avanzati in Europa sulle rinnovabili, ma ora facciamo molta fatica. Abbiamo tante richieste di allacciamento e un alto potenziale di produzione di energia elettrica, ma gli iter autorizzativi sono lunghi e complicati. Resta solo da sperare che le semplificazioni normative ora possano sbloccare la situazione. Gli altri Paesi europei hanno redatto piani di installazione molto ambiziosi, mentre noi siamo ancora drammaticamente indietro. Lo stesso discorso vale anche per i trasporti, soprattutto alla luce dei tentativi del governo di proteggere il motore a combustione interna».

Torniamo all’energia. Il governo ha detto di voler rendere l’Italia un «hub energetico» europeo. È una buona strategia?

«Ci stiamo concentrando troppo sul gas. Per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati in Europa, dovremmo ridurne il consumo di un terzo da qui al 2030. E un terzo del gas è proprio la percentuale che importavamo dalla Russia: avremmo dovuto sostituirlo – almeno in parte – con rinnovabili. Per quanto riguarda le infrastrutture, anche i progetti di nuove condutture nell’Adriatico ci portano verso un ruolo importante del gas. Dobbiamo riconoscere che sono strategie incompatibili con gli obiettivi al 2030».

Trasporti ed edifici sono altri due comparti fondamentali per ridurre le emissioni. Eppure la direttiva casa e il regolamento auto sono state molto contestate in Italia. Come si fa a rendere questi interventi più “desiderabili” da parte dell’opinione pubblica?

«Sulla ristrutturazione degli edifici abbiamo già speso tanti soldi. L’esempio del Superbonus, pur avendo portato vantaggi modesti, ha dimostrato che sappiamo fare politiche che funzionano. Sul trasporto, invece, credo che le resistenze riguardino più l’industria che l’opinione pubblica. In ogni caso, è fondamentale riuscire a raccontare bene ciò a cui stiamo andando incontro: la transizione elettrica del settore dei trasporti e la mobilità sostenibile sono soluzioni che portano solo benefici».

In questi anni abbiamo imparato che il cambiamento climatico non è un problema solo del futuro, ma anche del presente. Quali sono le conseguenze che investiranno l’Italia nei prossimi anni?

«L’Italia si trova in un hotspot del cambiamento climatico. Questo significa che siamo in una posizione particolarmente vulnerabile e a rischio. Già oggi vediamo nel bacino mediterraneo disastri di vario genere e nei prossimi anni si intensificheranno gli eventi meteorologici estremi: sia di siccità, come già stiamo vedendo, sia di alluvioni. Per questo è importante, oltre alle strategie per ridurre le emissioni, mettere a punto un piano di adattamento. Il fatto di trovarci in una posizione ad alto rischio dovrebbe spronarci ad avere un ruolo proattivo sulla politica climatica, non un ruolo difensivo».

Credits foto di copertina: ANSA/ANDREA FASANI | Il fiume Po in secca (luglio 2022)

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