9 ore di lavoro per 15 euro al giorno, «ma se vieni con me ti do di più»: la lavoratrice delle serre che si è ribellata agli abusi in Sicilia
Si chiama Ludmitza e oggi ha un lavoro regolare. Con stipendio, documenti e diritti. Ma prima ha lavorato nelle serre del ragusano in Sicilia. Per sette anni. Con turni massacranti e ricatti sessuali. La sua storia la racconta oggi l’edizione palermitana di Repubblica: «È stata dura, 8 o 9 ore di lavoro al giorno spesso pagata solo 15 euro. «Il padrone ci aveva dato una stalla e pretendeva persino che gli pagassimo la luce. Ogni lavoratore o coppia aveva una stanza, il bagno era in comune, la cucina non più di un fornello da campo. Non c’era riscaldamento e d’inverno faceva freddo. C ’era chi dormiva con i fitofarmaci accanto al letto». Dice anche che si caricava in spalla una bombola da dieci chili per irrorare i pomodori «senza sapere cosa fosse». Ludmitza ne è uscita rivolgendosi al sindacato Usb.
I ricatti
Poi racconta la sua giornata di lavoro: «Il padrone ci aveva dato una stalla e pretendeva persino che gli pagassimo la luce. Ogni lavoratore o coppia aveva una stanza, il bagno era in comune, la cucina non più di un fornello da campo. Non c’era riscaldamento e d’inverno faceva freddo. C ’era chi dormiva con i fitofarmaci accanto al letto». Ludmitza dice che non sapeva di avere dei diritti e di poter usufruire, per esempio, della malattia: «I padroni approfittano di questo per non farti il contratto e non versarti i contributi». In caso di incidenti gravi invece «nella migliore delle ipotesi ti lasciano davanti all’ospedale. Ma non devi dire di esserti fatto male sul lavoro. Ti ricattano. Soprattutto se sei sola o hai bambini». Per anni lei è andata in farmacia a chiedere «una bustina» per alleviare i sintomi dei malanni: «Non sapevo di avere l’assistenza medica e di averne diritto», sostiene.
Le pressioni sessuali
Ludmitza afferma di aver subito anche pressioni di tipo sessuale: «“Se stai con me, ti pago di più”. Inizia sempre così. È successo anche a me, ma ho avuto la forza di andarmene. C’era mia sorella, mi sono rifugiata da lei. Chi è sola, non ha alternative di lavoro, magari ha figli, è ancora più esposta». Secondo lei i bambini vengono usati come arma di ricatto: «E chi alla fine cede, anche dopo ha paura, vergogna per denunciare. Non è semplice far emergere queste situazioni». Alla fine ne è uscita: «Hanno iniziato a non pagarmi neanche le giornate. E lì ho detto basta. Dopo sono stata minacciata, il padrone più volte mi ha detto “se ti vedo per strada, ammazzo te e il tuo compagno”. Lui è stato aggredito. Ma sono andata fino in fondo. E mi si è aperto un mondo, ho capito di avere dei diritti».
Leggi anche:
- Famiglia Soumahoro, indagini chiuse per la moglie e la suocera del deputato: 2,17 milioni di euro sotto la lente
- I duemila lavoratori in nero nei cantieri di Venezia: «Li pagavano 7 euro l’ora»
- Il lato oscuro di Brt e Geodis, i colossi della consegna di pacchi colpiti dalla magistratura. Ecco perché
- Gorizia, braccianti stranieri segregati e sfruttati: tre arresti per caporalato
- «Pagata a 27 anni con 750 euro? Basta accettare, così non si vive». Lo sfogo dell’ingegnera alla cena tra amici – Il video