Armi, sostegni finanziari, aiuti umanitari: quale Stato spende di più per l’Ucraina? I dati
Il sostegno all’Ucraina da parte degli alleati occidentali non è in discussione. Ma la durata e le modalità, a oltre un anno dall’invasione russa, cominciano a essere discusse. Pochi giorni fa a Bruxelles il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha messo sul tavolo qualche cifra. «Gli alleati hanno erogato quasi 150 miliardi di euro di sostegno, inclusi 65 miliardi di euro di aiuti militari», ha detto alla ministeriale esteri. Ma quale Paese sta offrendo maggiore sostegno? Quale minore? E di cosa parliamo quando parliamo di aiuti? Lo abbiamo chiesto agli economisti del Kiel Institute for the World Economy, uno dei più importanti think tank europei in Economia internazionale, che grazie al progetto Ukraine Support Tracker monitorano gli aiuti – militari, soprattutto, ma anche finanziari e umanitari – inviati direttamente a Kiev da parte degli alleati. «Consideriamo solo i flussi diretti in Ucraina (da governo a governo) – spiega il Kiel -. Questo esclude gli aiuti o le donazioni ai Paesi vicini, come la Moldavia o la Polonia. Non includiamo il sostegno esteso tra i membri della Nato e non contiamo le donazioni di privati, aziende, chiese o organizzazioni non governative».
Al 24 febbraio 2023, spiega a Open l’economista dell’Istituto Stefan Schramm, «il totale relativo ai 40 Paesi e alle istituzioni dell’Ue ammonta a quasi 157 miliardi di euro». Questo importo, sottolinea mostrandoci l’ultima rilevazione terminata il 4 aprile, «può essere suddiviso in 72 miliardi di euro di aiuti finanziari, 13 miliardi di aiuti umanitari e 72 miliardi per quelli militari». Cifre che sono state promesse direttamente a Kiev dai governi di 40 nazioni, in particolare gli Stati membri e le Istituzioni dell’Ue, quelli del G7, che comprendono tra gli altri Stati Uniti e Canada, nonché Australia, Corea del Sud, Turchia, Norvegia, Nuova Zelanda, Svizzera e India. Dagli ultimi dati, spiega il Kiel, «abbiamo notato che rispetto a dicembre 2022 c’è stato un calo degli importi dei nuovi aiuti promessi all’Ucraina per il periodo che va dal 16 gennaio al 24 febbraio 2023. In questo range temporale è stato impegnato in Ucraina un totale di 12,96 miliardi di euro, gran parte dei quali provenienti solo da una manciata di donatori. Degni di nota: Norvegia, Svezia, Danimarca e Finlandia», conclude.
Gli Stati Uniti guidano sugli aiuti
Nonostante i Paesi scandinavi nell’ultimo mese (15 gennaio – 24 febbraio) abbiano aperto più facilmente il loro portafoglio statale, a guidare la classifica dei più generosi con Kiev ci sono gli Stati Uniti. Secondo il Kiel, dal 24 gennaio 2022 – giorno in cui il governo Usa ha iniziato a evacuare il personale delle ambasciate – fino al 24 febbraio 2023, l’amministrazione Biden e il Congresso «hanno mobilitato risorse pari a oltre 71 miliardi, la somma più alta. Di questi, 43 miliardi di euro destinati all’assistenza militare». Le cifre conteggiate dal think tank con sede in Germania, spiega Schramm, «non includono il budget dedicato ai rifugiati e al sostegno ai Paesi vicini, al rifornimento delle scorte di armi statunitensi o al costo del Comando europeo a sostegno delle truppe e delle operazioni statunitensi».
Stando ai dati diffusi dal Congressional Research Service, infatti, l’ammontare degli aiuti mobilitati dagli Stati Uniti per Kiev arriva a coprire la cifra di circa 113 miliardi di dollari totali. Perché esiste questa (enorme) differenza tra i dati dell’istituto tedesco e quelli rilasciati direttamente da Washington? «C’è stata molta confusione riguardo ai numeri ufficiali degli aiuti americani e il volume di questi, riportato dalla stampa, è spesso gonfiato», spiega l’economista del Kiel. Il caso-Usa è piuttosto particolare: gli Stati Uniti «possono fornire nuovi aiuti solo attraverso grandi disegni di legge approvati dal Congresso e contenenti somme che possono essere spese di regola durante il rispettivo anno fiscale», che inizia il 1° ottobre e termina il 30 settembre. Tuttavia, gran parte di quegli oltre 100 miliardi di dollari stanziati, spiega il think tank europeo, «non andranno direttamente all’Ucraina, ma saranno invece destinati a un’ampia varietà di scopi di spesa» legati alla Difesa del Paese.
Dei pacchetti stanziati dagli Stati Uniti – stando alle parole di Michael McCaul, presidente della commissione per gli affari esteri della Camera – «circa il 20% è diretto nelle casse del governo di Kiev. La restante parte, ovvero il 60 – come ha spiegato il funzionario a fine marzo durante un udienza con i funzionari del dipartimento di Stato e della Difesa sugli aiuti all’Ucraina – andrà alle truppe americane, ai lavoratori americani e alla modernizzazione delle scorte di armi». Ma c’è un ulteriore problema nel conteggio degli aiuti, sottolinea Schramm: «Washington annuncia regolarmente nuovi impegni che tuttavia non sono realmente nuovi, ma rappresentano invece prelievi di aiuti che erano già stati impegnati in precedenza nei rispettivi disegni di legge del Congresso». Per tutta questa serie di motivi – conclude Schramm – «l’impegno degli Usa è pari a oltre 70 miliardi di euro: 43 per gli aiuti militari, oltre 3 per quelli umanitari e infine 24 miliardi sono gli aiuti finanziari».
La questione delle scorte e le altre sfide geopolitiche
Sta di fatto che Washington ha fornito parecchio denaro per riuscire a soddisfare le richieste di Volodymyr Zelensky. E certamente la guerra in Ucraina sta contribuendo a una nuova “corsa al riarmo”, nonché a un conseguente cambio di passo sull’aumento della spesa per la difesa. E nonostante gli Stati Uniti restino il Paese che investe di più nel settore – 858 miliardi di dollari, che hanno rappresentato il 3,5% del Pil nel 2021 e un aumento dell’8% per il 2023 – faticano a sostenere il ritmo produttivo di quegli armamenti che danno loro il vantaggio sui competitor mondiali, come ha rivelato il Washington Post. E questo è un grosso problema: l’Ucraina non rappresenta la sola minaccia a cui far fronte nel medio-lungo termine. Ce n’è un’altra, ossia la Cina. «La Repubblica popolare cinese rimane la nostra sfida di sicurezza geostrategica numero uno a lungo termine», ha dichiarato al Congresso a fine marzo il generale Mark Milley, presidente del Joint Chiefs of Staff.
In ogni caso, la sopravvivenza di Kiev resta cruciale perché non si configuri il precedente che si può aggredire militarmente un proprio vicino senza ripercussioni. Per esempio, per quanto riguarda Taiwan. Secondo il New York Times, ad esempio, se una guerra di ampia scala scoppiasse in questo momento con Pechino, l’America finirebbe in una settimana i missili anti-nave. Ma quante armi ci sono nei depositi dei trentuno (inclusa, da poco, la Finlandia) Stati della Nato? «Dai nostri dati – spiega Schramm – emerge come gli impegni verso l’Ucraina rappresentino solo una frazione delle scorte effettive. Questo sembra essere il caso per tutti i tipi di armi pesanti pronte all’uso. In questo caso le capacità sono generalmente presenti».
Secondo il Kiel, infatti, «i Paesi della Nato hanno finora utilizzato circa il 4% dei loro carri armati, l’8% dei loro obici e il 5% dei loro sistemi missilistici a lancio multiplo MLRS per l’Ucraina». E quando si tiene conto delle scorte di armi disponibili sul campo di battaglia, i Paesi europei, e non gli Usa, sono in cima alla classifica: la Repubblica Ceca, ad esempio, ha impegnato il 32% delle scorte, seguite da Norvegia, Regno Unito e Polonia. In media, i membri dell’Ue hanno impiegato circa il 6% delle loro scorte disponibili di armi pesanti, rispetto a una media del 3,4% per i Paesi Nato non appartenenti all’Ue. La quota degli Stati Uniti, invece, è inferiore a quella dei Paesi dell’Unione, ovvero pari a 3,9%.
Per quanto riguarda l’invio dei tank, dopo il crollo delle resistenze, americane e tedesche, dall’inizio dell’invasione fino al 15 gennaio 2023, «sono 8 i Paesi – sottolinea il Kiel – che hanno annunciato il numero esatto di carri armati destinati all’Ucraina: Belgio (50 Leopard 1A5), Canada (4 Leopard 2A4), Germania (14 Leopard 2A6 e circa 100 Leopard 1A5). Ma anche Danimarca e Paesi Bassi (insieme circa 78 Leopard 1A5), Polonia (30 PT-91 Twardy e 14 Leopard 2A4), Regno Unito (14 Challenger 2) e infine gli Stati Uniti (31 M1A2 Abrams)». Mentre è da poco arrivata la conferma dell’invio di nuovo caccia da parte della Polonia, dopo l’annuncio della Slovacchia.
L’Europa segue con (nuovi) orizzonti di pianificazione più lunghi
Gli Stati Uniti rimangono chiaramente il principale donatore dell’Ucraina in termini assoluti, ma in relazione al Pil scivolano alla decima posizione. Sono invece i Paesi dell’Europa orientale a distinguersi come particolarmente generosi se si considera la dimensione della loro economia: in cima alla classifica troviamo, infatti, Lettonia, Estonia e Lituania. Dopo gli Usa – in termini di sostegno a Kiev – seguono i 27 Stati membri e le Istituzioni dell’Unione con oltre 61 miliardi di euro totali: 26 provenienti dai singoli Stati membri; 35 miliardi attraverso la Commissione e il Consiglio europeo (29,93), il Fondo europeo per la pace (3,60) e mediante la Banca europea degli investimenti (2 miliardi).
In sintesi: prestiti. «Nel complesso gli aiuti statunitensi sono più consistenti di quelli europei. Gli americani stanno dettando il ritmo. Tuttavia – spiega Schramm – rispetto allo scorso anno abbiamo notato una nuova tendenza negli aiuti europei all’Ucraina: l’adozione di orizzonti di pianificazione più lunghi», afferma. «Negli scorsi mesi – continua Schramm – molti governi hanno annunciato piani a medio-lungo termine per gli aiuti in Ucraina. Il caso della Norvegia ne è un ottimo esempio, in quanto si è impegnata a stanziare 1,45 miliardi di euro all’anno per i prossimi 5 anni. Nel 2022, infatti, gli stanziamenti sono stati per lo più non coordinati, ma ad hoc. Ciò ha reso molto difficile la pianificazione del budget in Ucraina». Se invece diamo uno sguardo sugli aiuti militari, «abbiamo osservato un leggero aumento nell’ultimo periodo», spiega.
Gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue «hanno fornito un totale di 19 miliardi di euro di assistenza militare, di cui 3,6 miliardi di euro dal Fondo europeo per la pace (Epf) e il resto dai Paesi membri dell’Ue (15,6 miliardi)», spiega l’economista. E mai era stata utilizzato (finora) l’European Peace Facility per acquistare armi letali per un Paese in guerra. Anche perché – si legge sul sito della Commissione – l’Epf è «uno strumento destinato a migliorare la capacità dell’Unione di prevenire conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale». Recentemente, però, l’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell ha letteralmente svuotato le casse di tale strumento, convincendo gli Stati a usare 3,1 miliardi dei 5,7 in sette tranche, costringendoli a riscrivere di fatto la politica di difesa dell’Unione europea.
Secondo un articolo pubblicato a inizio marzo dal Financial Times, con i 3,6 miliardi di euro dell’Epf è stato finanziato l’acquisto di 325 carri armati, 200 sistemi di lanciarazzi multipli, 1.000 droni, 36 elicotteri d’attacco e molteplici missili. Ma non solo: i ministri degli Esteri e della Difesa dell’Ue hanno inoltre concordato di fornire un milione di munizioni all’Ucraina entro un anno, utilizzando sempre lo stesso fondo. Ma una cosa sono le promesse, un’altra gli esborsi: solo il 36% dei prestiti annunciati – il dato è disponibile solo per gli aiuti finanziari – è stato fino a oggi effettivamente erogato dall’Istituzioni Ue. Inoltre, molto spesso, sottolinea Schramm, «Le promesse sugli aiuti vengono mantenute dai Paesi dell’Unione, ma con un ritardo da 1 a 3 mesi tra gli impegni stessi e le consegne», conclude.
L’Italia ci prova
In questo contesto, l’Italia «ha impegnato circa un miliardo di euro in aiuti militari, finanziari e umanitari, e 4,48 miliardi in prestiti attraverso gli strumenti dell’Ue: il programma di assistenza macro-finanziaria, il Fondo europeo per la pace, e la Banca centrale per gli investimenti», dice Schramm. «Di questi, 660 milioni di euro vengono utilizzati per sostenere lo sforzo bellico di Kiev (per fare un paragone: quasi 4 miliardi dalla Germania e oltre 2 dell’Olanda vanno per la resistenza ucraina). In questo preciso caso – continua l’esperto del Kiel – l’aumento nella fornitura di armi è dovuto principalmente a un sistema antiaereo nel gennaio di quest’anno, che vale più della metà del totale», spiega l’economista, riferendosi al sistema di difesa antiaerea Samp-T, fabbricato in maniera congiunta da Italia e Francia, e che dovrebbe essere presto ceduto all’Ucraina. «Ma se a questa analisi, relativa agli aiuti totali, aggiungiamo il dato del Pil, l’Italia si trova in penultima posizione nell’Ue in quanto a stanziamenti bilaterali», spiega. Il nostro Paese, risulta, però primo della classe per un parametro in particolare: «Il 93% degli impegni per prestiti è stato consegnato dall’Italia in Ucraina – dice Schramm -. Tuttavia si noti che molti degli impegni finanziari fanno parte di un piano a medio-lungo termine e quindi non sono previsti esborsi immediati», conclude.
Aiuti all’Ucraina vs fondi per “crisi interne”: non c’è gara
Secondo il centro di ricerca economico, le ingenti somme dimostrano che «le risorse finanziarie possono essere mobilitate» e pure «rapidamente». Ad esempio, per «la grande quantità di fondi che i governi dell’Ue hanno mobilitato per attutire lo shock dei prezzi dell’energia in patria o per arginare la pandemia da Covid-19», spiega invece Christoph Trebesch, responsabile del team che produce l’Ukraine Support Tracker. I pacchetti per far fronte al caro-energia annunciati dai Paesi Ue ammontano complessivamente a 570 miliardi di euro, rispetto ai circa 61 miliardi di impegni totali dell’Unione europea nei confronti dell’Ucraina.
Un divario simile si riscontra da un confronto con ciò che Bruxelles ha speso per i propri Stati membri durante il Covid-19: il fondo Next Generation Eu ha un volume totale di 807 miliardi di euro, più di circa 14 volte gli impegni totali dell’Ue per Kiev. «Nel complesso, il sostegno all’Ucraina è di solito solo una piccola frazione di quanto i governi spendono per disinnescare le conseguenze della crisi in patria». Per fare un esempio di casa nostra: le risorse stanziate dai governi Draghi-Meloni per contrastare il caro-energia superano quelle della Francia (93 miliardi), toccando la cifra di oltre 100 miliardi di euro (contro circa un miliardo per l’Ucraina). Al primo posto resta la Germania con 264 miliardi. È evidente, spiega il direttore del Kiel, che «i governi europei dispongono di risorse sufficienti per rispondere agli shock più gravi, ma la loro chiara priorità di spesa dopo il 24 febbraio è stata quella di aiutare la propria popolazione a far fronte alle crisi interne».
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