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Il cardinale, il gendarme, il procuratore: i nomi di Pietro nell’indagine sulla scomparsa di Emanuela Orlandi

emanuela orlandi pietro orlandi
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Il fratello della cittadina vaticana chiama in causa i cardinali Re e Sandri, il procuratore Pignatone e i gendarmi Giani e Alessandrini. Vediamo perché

È durato più di otto ore il confronto tra il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, e il promotore di giustizia di Papa Francesco, Alessandro Diddi. Il Vaticano ha deciso di aprire un fascicolo a quarant’anni dalla scomparsa della cittadina vaticana a Roma il 22 giugno 1983. Pietro Orlandi è stato ascoltato come «persona informata sui fatti», ovvero come testimone, nell’ambito della nuova inchiesta. Il fratello di Emanuela ha riferito di aver fatto anche «nomi eccellenti» durante il colloquio con Diddi. Tra questi, quello del «cardinale Giovanni Battista Re», attuale decano del Collegio cardinalizio. Re è una delle persone a cui era indirizzata la presunta “nota spese” su Emanuela Orlandi.

Giovanni Battista Re, Pignatone, Giani e Alessandrini

Ma non c’è solo questo. «Re all’epoca stava sempre a casa nostra e aveva relazioni strette con l’avvocato Gennaro Egidio», ha detto Pietro Orlandi all’uscita dall’incontro con Diddi. «Sapeva tutto quello che accadeva e qualche anno fa l’ho incontrato e mi ha detto che della storia Emanuela ha letto qualcosa. Dirmi così dopo tanti anni… è una delle persone a cui venivano mandati i cinque fogli sul trasferimento di Londra», ha concluso Pietro. Che poi ha fatto i nomi delle altre personalità segnalate al procuratore vaticano: «Un’altra persona da ascoltare è l’ex comandante della gendarmeria Domenico Giani, che ha fatto delle cose particolari sulla trattativa di Giancarlo Capaldo. Lui e Costanzo Alessandrini. Poi c’è Giuseppe Pignatone e tutta quella questione delle intercettazioni della moglie di De Pedis: lo chiamavano il “procuratore nostro” e dicevano “ci penserà lui a far tacere Orlandi”. Ha cacciato Capaldo e poi è stato promosso presidente del Tribunale Vaticano. Un’altra persona è il cardinal Sandri e lui dovrebbe essere a conoscenza che la prima telefonata è arrivata il 22 giugno».

La nota spese

Pietro Orlandi si riferisce prima di tutto alla lettera di cinque pagine finita sui giornali italiani il 22 settembre 2017. Recava la data di marzo 1998. Secondo le intestazioni è stata inviata dal cardinale Lorenzo Antonetti, allora capo dell’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran. Il titolo è “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo stato città del vaticano per le attività relative alla cittadina emanuela orlandi (roma 14 gennaio1968)“. Si presenta come «un documento di accompagnamento a una serie di fatture e materiali allegati di quasi duecento pagine che comproverebbero alla segreteria di Stato le spese sostenute per Emanuela Orlandi in un arco di tempo che va dal 1983 al 1997». Dice che la Santa Sede ha speso in totale 483 milioni. E promette 197 pagine di allegati con le fatture. Che però non ci sono.

I dubbi

Il documento proviene dall’archivio di monsignor Lucio Vallejo Balda, protagonista del caso Vatileaks 2. Andrea Tornielli su La Stampa ha spiegato qualche tempo fa le perplessità sull’autenticità del documento. Per esempio l’intestazione è sbagliata così come il nome di un cardinale citato. «Ma i dubbi veri sono di sostanza. Ammettiamo per un istante che la sostanza dei fatti riferiti sia vera. Per quale motivo nel 1998, con un’inchiesta della magistratura romana ancora in corso, i vertici della Santa Sede coinvolti (in questo caso la Segreteria di Stato) avrebbe chiesto all’APSA un rendiconto completo delle spese dell’operazione, con fatture e pezze d’appoggio senza nomi in codice, aumentando così il numero delle persone informate sui fatti e le possibili fughe di notizie? L’avvocato Egidio invece fu messo a disposizione della famiglia Orlandi dai servizi segreti italiani, che si accollarono tutte le spese. Ha rappresentato la famiglia Orlandi e i Gregori nel caso delle scomparse di Emanuela e Mirella fino alla sua morte, avvenuta nel 2005.

Il caso Capaldo

Giani e Alessandrini sono invece collegati al caso dell’ex procuratore di Roma Giancarlo Capaldo. Il quale ha raccontato in alcune occasioni di una “trattativa” avuta con il Vaticano, ovvero proprio con i due a capo della gendarmeria della Santa Sede. L’oggetto della trattativa, secondo Capaldo, era addirittura la restituzione della salma della ragazza vaticana. Secondo Giani e Alessandrini invece si è parlato di un cadavere, sì, ma di quello di Enrico De’ Pedis. E sulla traslazione della sua bara dalla basilica di Sant’Apollinare. Capaldo ha sostenuto che dopo la traslazione «il canale di comunicazione con il Vaticano si è interrotto. Avevamo iniziato un percorso comune. Che, purtroppo, si è interrotto in modo brusco e poco chiaro. I fatti mi fanno concludere che, nel corso degli anni, il Vaticano non ha mai realmente collaborato con la magistratura italiana nel caso». Sul caso, Capaldo ha sostenuto di aver avuto libertà di indagare solo dal 2008 al 2012. E che dopo essere arrivato a un punto di svolta, non è riuscito a realizzarla «a causa dell’intervento di forze sconosciute, anche se individuabili».

Il caso Pignatone

Pignatone è attualmente presidente del Tribunale dello Stato di Città del Vaticano. In un’intercettazione telefonica parla di lui la vedova di De Pedis Carla Di Giovanni nel frattempo deceduta. In quella telefonata con monsignor Pietro Vergari, all’epoca a capo di Sant’Apollinare, Di Giovanni tranquillizza Vergari sostenendo che Pignatone ha deciso di archiviare l’ultima inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi che ha coinvolto anche il prete. C’è da dire che l’archiviazione arrivò però soltanto tre anni dopo. Il cardinale Leonardo Sandri è invece chiamato in causa per un’altra vicenda. Pietro Orlandi si riferisce a una presunta telefonata arrivata in Vaticano il giorno della scomparsa della sorella. In cui si annunciava il suo rapimento. Una circostanza che va a scontrarsi con tutte le evidenze processuali sul caso. Nelle quali si è sempre sostenuto che dal 22 giugno 1983 Orlandi non ha mai dato prova di esistenza in vita. E tutti i suoi presunti rapitori nelle decine di rivendicazioni fatte trovare a polizia, Vaticano e giornalisti non hanno mai dimostrato di esserne o di esserne mai stati in possesso.

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