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Cesena, il ristoratore che adotta la settimana corta: «Più tempo libero per lavorare meglio e aumentare il rendimento»

Lo stipendio dei dipendenti rimarrà immutato. La scommessa è che «i turni si affrontano con maggiore entusiasmo e abnegazione. A vantaggio di tutti»

Lavorare meno, lavorare meglio: il modello della settimana corta conquista il ristorante ‘Quel Castello di Diegaro’, fra Cesena e Forlì. Si tratta di uno dei più apprezzati locali del territorio romagnolo, non solo dai clienti: «Dati di Confcommercio ci indicano infatti come il locale col minor turnover del territorio». A parlare è il suo gestore, Lorenzo Illotta, che ha deciso di sperimentare questa nuova strategia per aumentare la produttività del personale: «Chi lavora in sala, nell’arco dei sette giorni di apertura settimanale, a oggi beneficia di quattro turni a pranzo e due a cena di riposo», racconta al Resto del Carlino. Un modello che implica la necessità di fare nuove assunzioni, «tanto più che ora ci apprestiamo ad allargare lo stesso tipo di approccio anche in cucina e per questo siamo alla ricerca di un nuovo cuoco». Ma non è solo questo il punto. «Il Covid ci ha insegnato il valore del tempo trascorso insieme ai propri cari. Un approccio alla qualità della vita che merita di essere mantenuto. Anche perché in questo modo i turni di lavoro si affrontano con maggiore entusiasmo e abnegazione. A vantaggio di tutti».

Coltivare l’entusiasmo

«Questo mestiere – prosegue Illotta – può dare tante soddisfazioni. A patto di svolgerlo in maniera motivata. Il settore della ‘sala’ merita di essere esplorato con entusiasmo: chi si relaziona col cliente è chiamato a raccontare cose belle. Si parla dell’uomo e del suo talento che emerge nei prodotti che alleva, che coltiva o che vinifica. È cultura e il cameriere ha il compito di raccontarla, col coinvolgimento di chi si pone davanti a una sorta di fiaba». Il personale del ristorante è numeroso, conta circa sessanta persone. Ma per quanto loro possano beneficiare dell’innovazione, secondo Illotta «non basta»: serve a suo avviso «un intervento normativo». «Parliamoci chiaro, per chi lavora in questo mondo è praticamente impossibile restare nell’ambito delle 40 ore settimanali – spiega -. Ne servirebbero almeno 45. Ragionando in maniera virtuosa, auspico che i contratti collettivi di del settore vengano rivisti a livello nazionale, partendo da una base più alta. Anche in termini di compensi, ovviamente. Questo potrebbe davvero segnare un punto di svolta».

Foto copertina: Il Resto del Carlino

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