I ritardi dei tribunali? Colpa dei migranti. Così il governo vuole snellire in un colpo solo la giustizia e le protezioni dei richiedenti asilo
Stretto tra la pressione della Commissione Ue per raccogliere rapidamente i frutti dei miliardi del Pnrr e quella del suo elettorato per mettere un freno tangibile all’emergenza-immigrazione, il governo Meloni sembra aver trovato un escamotage per tentare di raggiungere entrambi i traguardi. L’idea, contenuta in un emendamento al Dl Cutro presentato dal ministro Carlo Nordio, è quella, in sostanza, di far ricadere sui richiedenti asilo il peso dello snellimento dei tempi della giustizia. Eterno obiettivo della “semplificazione” italiana, ma target da raggiungere a tutti i costi ora che al suo raggiungimento è legata l’erogazione delle tranches dei prossimi anni del Recovery Fund. Ma che c’entrano i migranti con i faldoni di carte accumulate negli uffici giudiziari italiani? C’entrano, eccome. Chi fugge da guerre e disperazione e giunge nel nostro Paese può infatti oggi richiedere due forme di protezione: quella internazionale, ai sensi dei trattati sull’accoglienza cui è vincolata l’Italia, ma anche quella speciale e sussidiaria. E i giudici, una volta presentata l’istanza, hanno il dovere di verificare con attenzione la titolarità dei requisiti per entrambe le protezioni: procedure lunghe e complicate che contribuiscono – insieme a tante altre – a prolungare i tempi di smaltimento delle pratiche dei tribunali ben oltre gli standard europei. Ecco dunque l’idea del governo, inserita oggi nel Dl Cutro tramite emendamento: costringere i migranti che hanno depositato ricorsi in materia entro il 31 dicembre 2021 a scegliere. «Il difensore può, fino al momento in cui il giudice ha rimesso la decisione al collegio, depositare istanza di esame in via principale della domanda di protezione speciale e in via subordinata della domanda di protezione internazionale», si legge al primo comma del nuovo articolo 7 bis del decreto che vedrebbe la luce. I ricorrenti sino a prima del 2022 dovranno in pratica necessariamente richiedere la protezione speciale. Solo se questa sarà accettata, potranno poi «in via subordinata» presentare richiesta anche per la protezione internazionale. Una vera e propria tagliola sui tempi dei tribunali, ma anche sulle regole del sistema d’accoglienza italiano.
«Tutti i ricorsi – spiega infatti la relazione illustrativa dell’emendamento – contengono, oltre alla domanda di riconoscimento della protezione internazionale, anche la domanda di riconoscimento della protezione speciale basata sul diritto interno» e «i dati statistici indicano» proprio questo come «il principale arretrato delle sezione specializzate» dei tribunali. Il giudice, si spiega infatti nel documento, è tenuto a verificare in via preliminare se al ricorrente può essere riconosciuto lo status di rifugiato oppure, in via gradata, la protezione sussidiaria nelle tre forme previste dalla legge e «l’esame secondo questo preciso ordine risulta particolarmente laborioso, comportano, tra l’altro, la selezione e l’aggiornamento delle country origin information, oltre che un complesso esame fattuale e giuridico della posizione individuale del ricorrente, con relativa motivazione». Sull’accertamento delle protezioni cui hanno i diritto i migranti, insomma, fa capire il documento, c’è ampio margine per risparmiare tempo e risorse. E anche diritti? Non secondo il ministero proponente, che assicura che «la proposta normativa non incide in alcun modo sul processo decisionale in ordine alla domanda di protezione internazionale, dal momento che in tale sede il giudice continuerà ad esaminare prima la sussistenza dei presupposti per lo status quo di rifugiato e poi di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria». Quanto a quella internazionale, però, per i migranti (quelli sbarcati fino al 2021 per lo meno) potrebbe diventare con le nuove norme un miraggio sempre più lontano.
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