Artem Uss, fu Marta Cartabia a chiedere il carcere subito prima di lasciare il ministero: ecco la «prova regina» che inchioda i giudici di Milano
Il governo italiano chiese esplicitamente ai giudici della Corte d’Appello di Milano – ancor prima che arrivasse l’appello del Dipartimento di Giustizia Usa – di assicurare la detenzione in carcere per Artem Uss, l’imprenditore-trafficante russo fermato il 17 ottobre 2022 su mandato d’arresto internazionale ed evaso, dopo essere stato posto ai semplici arresti domiciliari, lo scorso 22 marzo. A mettere nero su bianco quella richiesta non fu tuttavia l’attuale ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ma la sua predecessora, la Guardasigilli del governo Draghi Marta Cartabia. È quanto sostiene lo stesso ministro Nordio nel documento con cui avvia l’azione disciplinare nei confronti dei giudici Monica Fagnoni, Micaela Curami e Stefano Caramellino. I tre magistrati, spiega la lettera – protocollata il 12 aprile, ma che la Corte d’Appello di Milano sostiene di non aver ancora ricevuto – hanno preso sotto gamba la pericolosità di Uss in quanto hanno sottovalutato un sera di elementi: gli appoggi internazionali, anche di natura logistica, di cui godeva; i suoi rilevanti interessi economici all’interno di società registrate o con filiali in Germania e Svizzera, Malesia ed Emirati (oltre che Russia, ovviamente); le correlate «rilevanti consistenze economiche» dell’uomo; e certamente la “famosa” nota del Dipartimento di Giustizia Usa – del 25 ottobre 2022 – che segnalava esplicitamente il pericolo di fuga di Uss, chiedendo di assicurarne la custodia in carcere. Ma a rendere «grave e inescusabile» la negligenza dei tre magistrati, secondo via Arenula, è ancor più di tutti questi elementi il fatto di aver essenzialmente ignorato la nota emessa dal ministero stesso il 19 ottobre – appena 48 ore dopo l’arresto a Malpensa, dunque – che «richiedeva alla Corte d’Appello di Milano il mantenimento della misura cautelare della custodia in carcere, allo scopo di assicurare la consegna di Artem Aleksandrovich Uss alle autorità degli Stati Uniti d’America».
L’ultimo atto di Marta Cartabia
Un “pronto intervento” del ministero dunque, giunto subito dopo l’arresto dell’uomo, che i giudici di Milano avrebbero colpevolmente contraddetto quando decisero, il 25 novembre, di concedere a Uss gli arresti domiciliari, da trascorrere nella sua villa alle porte di Milano in attesa dell’esame della richiesta di estradizione. È sufficiente un flashback al calendario dell’avvicendamento tra i governi Draghi e Meloni per capire chi firmò quel documento-allerta diretto ai giudici del capoluogo lombardo: Marta Cartabia. Alla data dell’invio della disposizione, il centrodestra a trazione Fratelli d’Italia aveva infatti sì vinto le elezioni da diverse settimane. Nei palazzi delle istituzioni gli scatoloni di ministri e sottosegretari uscenti erano pronti, e sui giornali impazzava il totoministri. Ma il governo di Giorgia Meloni non era ancora nato. Proprio il giorno successivo, il 20 ottobre, sarebbero iniziate le consultazioni al Quirinale, a una settimana esatta dall’insediamento delle Camere: colloqui scontati e dunque assai rapidi, dato che due giorni dopo – il 22 ottobre – la prima donna premier italiana sarebbe tornata al Colle per giurare insieme alla sua squadra di ministri, ciascuno dei quali si accingeva così a ereditare i rispettivi delicati dossier. Sulla scrivania di Nordio, tra questi, anche il caso Artem Uss, che la sua predecessora – sostiene ora via Arenula – segnalò con la matita rossa ai giudici della Corte d’Appello di Milano. Appena tre giorni prima di lasciare definitivamente l’incarico.
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