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Oggi si festeggia la Giornata della Terra, ma tra un mese l’Italia avrà già finito tutte le risorse naturali del 2023

Secondo le stime del Global Footprint Network, dal 15 maggio il nostro Paese sarà in "debito" con il pianeta. Lo scienziato Alessandro Galli: «Dobbiamo ripensare il concetto di benessere»

Il 22 aprile 1970, il giorno in cui si è celebrata la prima Giornata della Terra, di pianeta ce ne bastava uno solo. Oggi, a 53 anni di distanza, ne servirebbero quasi due per soddisfare i consumi della popolazione mondiale. Le stime sono del Global Footprint Network, una rete di associazioni che si occupa di misurare l’impronta ecologica degli esseri umani. Ogni anno, gli esperti calcolano il cosiddetto Earth Overshoot Day, ossia il giorno in cui la Terra esaurisce le risorse naturali che è in grado di rigenerare nel corso di un anno solare. La data varia continuamente a seconda della rapidità con cui le risorse vengono sfruttate. Eppure, il trend non lascia troppo spazio alle interpretazioni: dagli anni Settanta ad oggi l’overshoot day è stato raggiunto sempre più rapidamente. Nel 1971, il primo anno a essere calcolato, la data è caduta il 25 dicembre. Nel 1980, l’8 novembre. Nel 2000, il 25 settembre. Nel 2022, il 28 luglio. «Dobbiamo ripensare il concetto di benessere e chiederci veramente se la qualità della vita sia determinata sempre e solo dal consumare», spiega a Open Alessandro Galli, senior scientist del Global Footprint Network e responsabile del programma per l’area mediterranea.

Paesi a confronto

L’overshoot day si calcola mettendo a confronto due elementi: l’impronta ecologica degli esseri umani e la biocapacità del pianeta. L’impronta ecologica misura la quantità di terra produttiva richiesta da una popolazione per supportare le proprie attività e i propri consumi. La biocapacità della Terra comprende invece tutte quelle risorse naturali e rinnovabili effettivamente disponibili e che il pianeta è in grado di rigenerare ciclicamente. I dati del Global Footprint Network sono piuttosto chiari: il ritmo con cui gli esseri umani stanno sfruttando le risorse della Terra ha raggiunto livelli insostenibili. «Negli ultimi 50 anni le economie sono cresciute al di là di quello che il pianeta può sopportare, richiedendo nel 2022 l’equivalente di 1,75 pianeti in termini di risorse e servizi ecologici», aggiunge Galli.

Per non creare squilibri, ogni cittadino dovrebbe avere un impronta ecologica di circa 1,6 ettari. Eppure, più dell’80% della popolazione mondiale vive in Paesi con un deficit ecologico, nel senso che utilizzano più risorse di quelle che i loro ecosistemi sono in grado di generare. È anche vero che ci sono grosse differenze tra un Paese e l’altro. A guadagnarsi la maglia nera è il Qatar, il cui overshoot day è caduto il 10 febbraio. Non va molto meglio agli Stati Uniti, che hanno finito le proprie risorse del 2023 lo scorso 13 marzo. Se tutto il mondo vivesse come in Russia, il giorno del sovrasfruttamento della Terra cadrebbe il 19 aprile. Per la Cina, la data si sposta al 2 giugno. «Questo uso smoderato delle risorse ha delle conseguenze e porta alla distruzione degli habitat delle specie selvatiche e al declino della biodiversità, minacciando il benessere delle generazioni attuali e future», precisa Galli. Secondo l’ultimo report del Wwf, negli ultimi 50 anni la fauna selvatica è diminuita del 69% a livello globale.

Credits: Global Footprint Network

Il caso italiano

E l’Italia? Le stime dicono che il 15 maggio il nostro Paese avrà già consumato tutte le risorse naturali del 2023 e sarà in debito per il resto dell’anno. L’impronta ecologica media di un italiano è di 4,3 ettari, un dato più che doppio rispetto agli 1,6 ettari considerati sostenibili. In altre parole, se tutto il mondo adottasse lo stile di vita e i livelli di consumo degli italiani, avremmo bisogno dell’equivalente di 2,7 pianeti. «Questo dato è un campanello d’allarme: ci dice che noi italiani consumiamo molto più del nostro fair share delle risorse del pianeta. Di conseguenza, siamo chiamati a una riduzione dei consumi e a una ridistribuzione delle risorse», commenta Galli. In particolare, sono due i settori che pesano sull’Italia: quello alimentare (responsabile da solo del 31% dell’impronta media di un italiano) e quello dei trasporti (responsabile per circa il 25%). «Questi dati non ci dicono che dobbiamo ridurre la nostra qualità della vita – precisa lo scienziato –. Piuttosto, ci dicono che l’abbiamo raggiunta in modo insostenibile e poco efficiente». Per dimostrarlo, basta guardare ai dati Onu sullo spreco alimentare, secondo cui annualmente ogni italiano getta in media 67 chili di cibo.

Negli ultimi anni, qualche passo in avanti è stato fatto. «Il livello di consapevolezza ambientale della popolazione italiana sembra essere molto alto e in crescita – commenta Galli –. Nel 2019, siamo diventati il primo Paese in Europa a rendere la sostenibilità e la crisi climatica materie obbligatorie a scuola dai 3 ai 19 anni». A questo si aggiungono poi gli ambiziosi obiettivi fissati a livello europeo con il Green Deal, il pacchetto di misure volto a ridurre le emissioni dei 27 Paesi membri. Provvedimenti che l’Italia ha spesso cercato di contrastare o modificare al ribasso, a partire dal nuovo regolamento sulle auto inquinanti. «Ho assistito con amarezza a questo dibattito, perché credo che non si sia capita la portata dei cambiamenti che sono necessarie per rendere sostenibili le nostre società», sottolinea lo scienziato del Global Footprint Network.

Credits: Global Footprint Network

Le soluzioni ci sono

Ma quali sono gli indicatori che permettono di muovere – avanti o indietro – la data dell’overshoot day? Gli esperti ne individuano cinque: città, energia, cibo, pianeta e popolazione. All’interno di ognuno di questi macro-settori esistono un’infinità di soluzioni e alternative sostenibili. Qualche esempio? Dimezzare gli sprechi alimentari nel mondo ci regalerebbe 13 giorni in più sul calendario. Mentre la cosiddetta «città a 15 minuti» – dove tutti i servizi essenziali sono raggiungibili a piedi o in bicicletta – ci farebbe guadagnare altri 11 giorni. O ancora: riforestare 350 milioni di ettari di terreno sposterebbe la data di 8 giorni. Ai piccoli gesti individuali si sommano poi le decisioni che spettano a governi e aziende. Per esempio nella produzione di energia, uno dei principali driver del cambiamento climatico. Secondo le stime degli esperti, l’abbandono dei combustibili fossili e la riduzione del 50% delle emissioni di CO2 ci permetterebbe di posticipare l’overshoot day di oltre tre mesi (93 giorni).

In poche parole, le soluzioni ci sono. Si tratta soltanto di implementarle di più e meglio di quanto fatto finora. Ed è forse per questo che il tema scelto quest’anno per la Giornata mondiale della Terra è «Invest in our planet». Un appello trasversale, rivolto a governi, aziende, associazioni e cittadini. «È un invito riferito a tutti noi, indipendentemente dal nostro ruolo nella società. Abbiamo tutti un interesse personale nell’assicurarci che la Terra non venga destabilizzata», precisa Galli. «Il capitale naturale disponibile sul nostro pianeta, ad oggi il solo abitabile che abbiamo, è il vero motore delle nostre economie. Di conseguenza, assicurare che le risorse naturali siano in un buono stato è la chiave del nostro benessere sociale».

Credits: Global Footprint Network

Foto di copertina: ANSA/Pierpaolo Ferreri | Il fiume Po in secca all’altezza di Castel San Giovanni, Piacenza (25 marzo 2023)

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