Cina, stretta di Pechino sull’intelligenza artificiale: anche i nuovi software dovranno rispettare la censura
Il Partito comunista cinese adotta la linea dura contro i modelli di linguaggio basati sull’intelligenza artificiale. Lo riporta il New York Times, che ha analizzato la bozza di regolamento messa a punto dall’agenzia cinese per il Cyberspazio. Secondo le nuove regole, le risposte di ChatGPT e dei suoi simili dovranno rispettare i rigidi confini della censura cinese, al pari di tutti gli altri siti web, motori di ricerca e social media. Il contenuto dei sistemi di intelligenza artificiale, aggiunge il quotidiano statunitense, dovrà riflettere i «valori fondamentali socialisti» ed evitare la diffusione di informazioni o notizie che minano il «potere dello Stato». Non solo: le aziende che sviluppano questi software dovranno assicurarsi di rispettare le regole sulla proprietà intellettuale e saranno obbligate a condividere i propri algoritmi con le autorità di regolamentazione. Al momento le regole non sono ancora definitive, ma – precisa il New York Times – l’orientamento del Pcc sembra piuttosto chiaro.
Il software di OpenAI – ChatGPT – non è disponibile in Cina, ma i risultati ottenuti negli ultimi mesi hanno catalizzato entusiasmo e nuovi investimenti nel settore dell’intelligenza artificiale in tutto il mondo. Una sfida a cui neanche la Cina vuole sottrarsi. Nelle scorse settimane, rivela il New York Times, le azioni delle società cinesi di AI quotate in borsa sono aumentate vertiginosamente. In prima linea ci sono non solo le nuove start-up di Pechino – che puntano a proporsi come alternative a ChatGPT – ma anche i principali colossi tecnologici del Dragone, come Alibaba (il sito di e-commerce), SenseTime (che produce software di riconoscimento facciale) e il motore di ricerca Baidu. Insomma, la Cina non vuole sfigurare nella competizione internazionale del settore tecnologico. Allo stesso tempo, vuole evitare che l’intelligenza artificiale buchi il sofisticato sistema di censura che permette al governo di Pechino di orientare il dibattito pubblico nel Paese. Secondo il New York Times, sono ormai milioni i lavoratori cinesi che si occupano di monitorare l’attività online per conto dei vertici del partito.
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