Ma davvero Ed Sheeran ha copiato Marvin Gaye? Così l’accusa a «Thinking out loud» può diventare un problema per l’intera industria musicale
Ma davvero Ed Sheeran ha copiato Marvin Gaye? Martedì 25 aprile è iniziato a New York il processo per la sua Thinking out loud, accusata di somigliare un po’ troppo a Let’s get it on, pubblicato come singolo nel 1973 dalla Motown. La prova regina del plagio sarebbe un’esibizione dello stesso Sheeran a Zurigo con medley delle due canzoni che risale a otto anni fa. A portare in tribunale il cantautore britannico non sono gli eredi di Gaye ma quelli di Ed Townsend, produttore dell’album di cinquant’anni fa che porta quel nome e intestatario dei due terzi dei diritti d’autore della canzone. E l’industria musicale, fa notare il New York Times, è molto interessata alla vicenda. Perché dalla sua conclusione potrebbe dipendere una cascata di altre cause musicali dello stesso tipo. Vediamo perché.
Affinità e differenze
Un plagio si riconosce facilmente quando si contesta una somiglianza tra le melodie. Basta trascriverle e confrontarle per poter dire quanto una somiglia o non somiglia a un’altra (ovviamente si tratta di valutazioni che devono fare degli esperti). In questo caso però l’accusa riguarda la somiglianza della progressione degli accordi e dell’arrangiamento della canzone. Che di solito non sono protetti da copyright. Anzi: in un’altra faccenda legale molto famosa, conclusasi nel 2020, i Led Zeppelin furono “assolti” dall’accusa di aver plagiato Stairway to heaven da Spirit dei Taurus. Anche se gli arpeggi iniziali delle due canzoni sono molto simili. Nel 2015 però un’altra causa che aveva visto protagonisti stavolta gli eredi di Gaye per la sua Got to give it up contro Robin Thicke e Pharrell Williams per Blurred Lines aveva visto la vittoria dei primi. E nell’occasione la contestazione riguardava argomenti simili a quelli oggi sollevati dai Townsend contro Sheeran. Sotto accusa c’era l’arrangiamento, e in particolare la linea di basso e la batteria.
La testimonianza di Sheeran
Sheeran ha spiegato che il brano che ha scritto con Amy Wadge è stato creato da loro senza ispirarsi né pensare a Gaye. Ha ammesso che ci sono somiglianze tra le due canzoni, ma ha anche aggiunto che le canzoni pop si somigliano tutte. E che nessuno detiene il copyright di queste somiglianze. Nemmeno gli eredi di Townsend. Quando è stato mostrato in aula il video in cui Sheeran suona un medley tra le due canzoni ha detto che lui fa spesso questa cosa. E ha spiegato che a permetterglielo è proprio il fatto che le canzoni pop abbiano pochi accordi. E quindi è facile “mescolarle” tra di loro.
A questo punto va anche spiegato che c’è una particolarità della legge che limita quali parti della canzone di Gaye sono coperti dai diritti. Per quelle realizzate prima del 1978 contava soltanto il contenuto dello spartito inviato al Copyright Office, la cosiddetta copia di deposito. In questo caso lo spartito conteneva soltanto gli accordi, la melodia vocale e il testo. Giusto per fare un esempio, la linea del basso elettrico non fa parte di quanto denunciato dagli autori.
La progressione di accordi
Le progressioni di accordi tra i due brani sono molto simili. Quella di Gaye si basa su una progressione I – IV – IV – V. Quella di Sheeran cambia di pochissimo. Il secondo accordo è diverso ma, ha spiegato un musicologo consulente di parte al processo, si tratta di una cosiddetta sostituzione di accordo e ha definito i due accordi “intercambiabili”. La linea di basso invece è identica. Gli avvocati di Sheeran hanno spiegato che gli accordi sono elementi costitutivi generici di una canzone. Il musicologo consulente del cantante britannico ha invece elencato una dozzina di canzoni che utilizzavano la stessa sequenza di accordi. Di cui molte pubblicate prima della canzone di Gaye. Tra queste anche la strofa di Georgy Girl dei Seekers. Gli avvocati del querelante hanno portato anche l’argomento del pattern ritmico della canzone, che è molto Motown ma originale nella composizione di Towsend e Gaye.
Chi ha ragione?
Jennifer Jenkins, professoressa di diritti d’autore, ha spiegato al Nyt che c’è un “patrimonio comune” musicale in ogni linguaggi. «Se, come in questo caos, una progressione di accordi molto comune e impostata su un ritmo armonico di base viene “privatizzata” allora stiamo rimuovendo elementi essenziali dal lavoro dei musicisti», ha detto. Soprattutto, è il sospetto, se l’ago della bilancia pendesse in favore di Townsend questo potrebbe aprire il vaso di pandora di una serie di cause infinite su aspetti da sempre definiti come secondari delle composizioni, come gli arrangiamenti.
L’unica volta che ha parlato della questione in un video su Instagram Sheeran è apparso più seccato che preoccupato. Ha usato più o meno gli stessi argomenti dei suoi avvocati: «Nella musica pop si usano pochi accordi. Le coincidenze esistono, specialmente quando ogni giorno 60 mila canzoni finiscono su Spotify. Questa storia deve finire». Oppure deve ancora iniziare. Ma a quel punto diventerebbe un tutti contro tutti.