Le ferite, l’imbarcazione dispersa, la posizione: tutti i dubbi sul sub trovato morto in Sardegna
Con il passare del tempo aumentano anziché diminuire le zone d’ombra attorno alla morte di Davide Calvia, il sub 38enne scomparso lo scorso 12 aprile nel Golfo dell’Asinara a seguito del naufragio della barca con cui, insieme al cugino Giovannino Pinna, stava facendo una battuta di pesca. Giovanni, 35 anni, si è salvato grazie a una muta che lo ha riparato dall’acqua gelida, e a un giubbotto di salvataggio che lo ha tenuto a galla. La muta di Davide, invece, era troppo grande per lui: l’acqua gelida è entrata e penetrata nel suo corpo. Eppure, pare, non è morto per il freddo. Né, puntualizza il Corriere della Sera, per annegamento: aveva ferite profonde dappertutto, segni che secondo i primi risultati dell’autopsia non sarebbero compatibili con l’urto di un’imbarcazione sugli scogli. Una delle ipotesi al vaglio dei magistrati, infatti, è che sia stato selvaggiamente bastonato.
I fatti
«Siamo in una barca che sta affondando. Vediamo le ciminiere di Fiumesanto»: questa la chiamata che, nel pomeriggio dello scorso 12 aprile, riceve la guardia costiera di Porto Torres. I soccorsi si attivano subito e raggiungono la parte del golfo dell’Asinara, fra Porto Torres e Stintino. Ma di imbarcazioni o persone, in un primo momento, nessuna traccia. Le ricerche si interrompono dopo ore, anche a causa del forte libeccio, per poi riprendere la mattina dopo. Quel 13 aprile in cui, sulla zona, si scatena una bufera di maestrale. I cavalloni restituiscono un corpo: è quello di Giovannino Pinna, semiassiderato e con i polmoni pieni d’acqua. Ma è vivo. Ha passato 30 ore in mare, viene immediatamente portato in ospedale. Davide non è con lui: «Era in acqua vicino a me. Poi non l’ho più visto», racconta Giovannino. Il cadavere di Calvia riaffiora solo dieci giorni dopo a Lu Bagnu, vicino a Castelsardo.
I nodi da sciogliere
La barca, invece, continua a non trovarsi. Un dettaglio non da poco: Pinna e Calvia non possedevano imbarcazioni né risulta che quei giorni fra Stintino e Castelsardo ne abbiano noleggiato una. Risulta invece che quel 12 aprile il proprietario di un piccolo natante cabinato ha denunciato il furto del mezzo, dopo essersi reso conto che non era più ormeggiato in un molo di Porto Torres. Lo stesso molo dov’è stata ritrovata la moto di Pinna. Nella pilotina c’erano tre mute e giubbotti di salvataggio. C’è inoltre un secondo dettaglio che sembra fuori posto: non è possibile che la richiesta di soccorso sia partita dalla zona di fronte a Fiumesanto, dal momento che la cella che ha agganciato la telefonata è a molti chilometri di distanza. Ma vicino alla spiaggia dov’è stato ritrovato Giovannino Pinna. Dovrà dunque essere chiarita la ragione per cui alla Guardia Costiera è stata riferita una posizione falsa. La procura di Sassari ha, al momento, iscritto nel registro degli indagati Giovannino Pinna per naufragio colposo. I magistrati attendono nuovi elementi dalle telecamere dello scalo marittimo di Porto Torres (che già hanno individuato due persone che si aggiravano nelle banchine dov’era ormeggiata la barca rubata) e dall’esame del telefono cellulare dell’indiziato. Principale, ma non unico: le voci insinuano il coinvolgimento dei pescatori abusivi su reti e palamiti calati nel Golfo dell’Asinara, con furti del pescato e rappresaglie dei pescatori derubati. Al momento Pinna, fa sapere il suo avvocato, «è ancora sconvolto e sotto choc. Per riprendersi deve continuare a curarsi. Appena sarà in grado farlo, dirà ai magistrati che cosa è accaduto».