Il carabiniere colpito a Palazzo Chigi da Luigi Preiti 10 anni fa: «Non perdono. La politica? Non si faranno sentire, non so»
Dieci anni fa, il 28 aprile 2013, alle 11,40 il carabiniere Giuseppe Giangrande fu colpito da un proiettile sparato da Luigi Preiti a Palazzo Chigi. Preiti ha ricevuto una condanna a 16 anni di reclusione per tentato omicidio. Giangrande invece da quando non aveva ancora cinquant’anni è diventato tetraplegico. E oggi racconta al Quotidiano Nazionale quello che gli è accaduto. Nell’intervista con Silvia Bini Giangrande dice che da quel giorno «è cambiato tutto. Quanto successo mi ha privato di tante cose, mi ha trasformato. Quello che potevo fare un tempo, adesso non più. Se prima andavo a correre in bicicletta quando e come volevo, ora mi devo appoggiare completamente ad altre persone anche solo per uscire di casa».
L’attentato
«Sto bene, bisogna avere il coraggio di accettare che la vita purtroppo può cambiare di punto in bianco», riflette Giangrande. Dice che sua figlia Martina «mi dà la forza: è lei l’ultima persona che vedo la sera e la prima ogni mattina». Poi racconta la sua giornata: «La mattina mi alzo dal letto e mi siedo sulla carrozzina, poi arrivano delle persone che mi aiutano, sono i miei angeli custodi della Croce Rossa che mi sono stati sempre accanto in questi dieci anni. Dopodiché mi metto al computer oppure esco con mia figlia». Dice che la sua seconda famiglia è l’Arma dei carabinieri. Mentre dalla politica non si aspetta niente: «Non credo si faranno sentire, non so». Oggi va nelle scuole: «Incontro i ragazzi e parlo con loro. Discuto di legalità, bullismo, cyberbullismo, droghe e alcol. Dico loro che fuori non è tutto oro e che non si è leoni in mezzo alla giungla».
Il perdono
Giangrande dice che accetta la sua croce, ma che non perdonerà mai Preiti per quello che gli ha fatto. Dice che di quello che ha fatto rifarebbe «tutto, dalla a alla z. L’Arma mi ha fatto crescere e diventare un uomo e un carabiniere». Si sente ancora un uomo dello Stato: «Sarebbe un’utopia non crederci, mentre la politica non mi interessa». Non si sente abbandonato: «L’Arma è sempre stata vicina a me e a Martina, questo conta tanto». E ricorda che a 17 anni e 4 mesi, quando decise di fare il carabiniere, i suoi genitori non la presero bene: «Insomma… non erano tanto contenti. Alla fine però cedettero e firmarono. Vengo da una cittadina sulle colline di Palermo, avrei potuto diventare un sommelier, ma volevo fortemente essere un carabiniere».
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