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Cosa succede all’Italia con il nuovo Patto di Stabilità: «L’Ue vuole 15 miliardi l’anno, addio riforme delle pensioni e dell’Irpef»

italia patto di stabilità governo meloni giorgia meloni giancarlo giorgetti
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Il ministro dell'economia Giorgetti è arrabbiato. I calcoli della Commissione e i pericoli per il bilancio. Il rischio Grecia evocato dall'ex Bce e la politica economica difficile

Il nuovo Patto di Stabilità che la Commissione Europea ha presentato può entrare in vigore già all’inizio del 2024. E secondo l’ex Bce Lorenzo Bini Smaghi si tratta di «un commissariamento della politica di bilancio dei paesi ad alto debito. In particolare dell’Italia». In base alle simulazioni Ue all’Italia sarebbe richiesta – in linea con il Def – una correzione di bilancio fino a 15 miliardi l’anno per quattro anni. Oppure di 7-8 in sette anni. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti fa notare che con le nuove regole gli investimenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza non risultano esentati. Ma c’è di più. Perché il governo Meloni aveva promesso riforme delle pensioni e dell’Irpef. Ma con queste regole, spiegano gli esperti, ogni tentativo potrebbe finire frustrato dalla mancanza di risorse. A meno di non tagliare.

I calcoli della Commissione

Con ordine. Sono i calcoli della commissione europea a dire che il fabbisogno annuale per il rientro dal deficit ammonta a 15 miliardi in quattro anni. Il Prodotto Interno Lordo è arrivato a 1.909 miliardi di euro nel 2022. Un taglio annuo dello 0,85% vale 16 miliardi. Quello di sette anni vede la percentuale scendere fino allo 0,45%. Ovvero 8,5 miliardi l’anno. Applicando le stesse proporzioni, in caso di procedura d’infrazione l’Italia sarebbe chiamata a versare multe per 950 milioni di euro ogni sei mesi. Fino a un massimo cumulabile di 9,5 miliardi di euro. Fonti europee dicono all’agenzia di stampa Ansa che si tratta di cifre legate alla cosiddetta traiettoria tecnica. La quale a sua volta è solo «il punto di partenza» delle discussioni che avranno singoli Paesi e Commissione sui piani pluriennali di rientro del debito e riforme. E, in ogni caso, si tratterebbe di un aggiustamento inferiore a quello richiesto all’Italia con le regole attuali. Il Def, inoltre, prevede un aggiustamento del 3,6% nel 2023 e dello 0,9% nel 2024.

La rabbia di Giorgetti

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera oggi il ministro Giorgetti comunica un misto tra irritazione e realismo.  «Il nuovo Patto di stabilità impone una rigorosa revisione della spesa, di tutta la spesa, compresi gli investimenti», spiega. E questo perché la spesa pubblica potrà crescere percentualmente negli anni a venire, in sostanza, meno di quanto sia cresciuta l’intera economia negli anni passati. E visto che l’Italia quasi non è cresciuta nell’ultimo decennio, la spesa dovrebbe restare molto compressa. A meno di non effettuare tagli su altre voci per privilegiare gli investimenti. «La spending review dovrebbe riguardare anche gli investimenti del Pnrr che hanno un impatto sugli obiettivi», aggiunge il responsabile di via XX Settembre. Si riferisce, spiega Federico Fubini, a quelli basati su prestiti europei (per circa 120 miliardi di euro) che entrano nel debito pubblico. «Questo vale a maggior ragione per l fondo complementare al Pnrr che dobbiamo finanziare al costo in interessi del debito italiano». E che vale circa 30 miliardi.

Lorenzo Bini Smaghi e la Grecia

L’ex consigliere della Banca Centrale Europea Lorenzo Bini Smaghi è ancora più caustico. «La Commissione sostiene che con il nuovo sistema vi è una maggiore titolarità politica dei governi nazionali perché a questi è data facoltà di indicare i percorsi pluriannuali di risanamento. In realtà, questi percorsi dovranno essere coerenti con le traiettorie tecniche fornite dalla Commissione stessa: se il Paese non si adegua viene messo automaticamente in procedura per disavanzo eccessivo. I mercati potrebbero reagire negativamente», ipotizza in un’intervista a Repubblica. Poi dice che «verrà effettuata un’analisi della sostenibilità del debito per decretare la plausibilità della riduzione. Ma questo strumento è molto complesso e poco trasparente: richiama al caso della Grecia del 2010-2012». Bini Smaghi spiega a Eugenio Occorsio che in queste condizioni sarà difficile per il ministro dell’Economia preparare il Def. «Rischiano di esserci più tensioni tra la Ue e le capitali – in particolare Roma – perché non sono chiari i criteri di valutazione: il pericolo è alimentare il risentimento nei confronti delle istituzioni Ue», conclude.

E la politica economica?

Ma i danni maggiori potrebbero arrivare alle riforme delle pensioni e delle tasse annunciate dal governo. Repubblica spiega che l’unica strada praticabile è quella di trovare risorse all’interno del bilancio. Ovvero sacrificando altri capitoli di spesa. Non solo detrazioni e deduzioni, come aveva immaginato il governo. Forse ci sarà bisogno di tagliare ancora il reddito di cittadinanza. In base al nuovo Patto europeo, «noi dobbiamo andare sotto il 3% di deficit e ci andiamo nel Def», dice al quotidiano Fedele De Novellis, economista e partner Ref Ricerche. «Il Pnrr consente di fare politiche di domanda e dare impulso alla crescita», aggiunge con il quotidiano Stefania Tomasini, economista e senior partner di Prometeia. «È questa la strada, se il governo vuole creare spazi per altre misure. Perché altro non c’è, a meno di voler tagliare la spesa o alzare le tasse. Stiamo già camminando sul filo e il Def è molto prudente nella discesa del debito che resta molto alto, al 140% del Pil. E lo stesso nervosismo delle agenzie di rating nei confronti dell’Italia non rassicura. Anche se non vedo un declassamento dietro l’angolo». 

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